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martedì 14 marzo 2017

Nuova zuppa internautica: To Tinder or not To Tinder?

Ieri avevo nel cuore gli ingredienti che rendono buona un'amicizia... O, almeno, quelli che negli anni hanno reso migliori le mie, nonostante le liti. Oggi, però, mangiamo un piatto diverso: decisamente meno dolce, più moderno. Un argomento magari più sapido. 

Tinder. La frontiera dell'accoppiamento.
Tinder. Il "bar" virtuale.
Tinder. La vetrina del sesso.

Cos'è 'sto benedetto Tinder? Se ne sente parlare da tempo ormai e, da single, almeno una volta al mese mi è stato nominato, nel bene e nel male. Già, perché Tinder non è per tutti la stessa cosa... La sua funzione cambia persino in base allo Stato: in Italia, alcuni mi dicono, è un mezzo per fare sesso. "Se sei su Tinder vuol dire che la vuoi dare."
"Su Tinder trovi la scopata e via."
E la mia preferita: "Le porcone stanno su Tinder."
Commenteremo poi queste profonde parole.

Partiamo dall'origine di Tinder: questa bella app è la cugina etero di quell'applicazione in auge da tempo nel mondo omosessuale, Grindr.
Mi sono fatta raccontare la storia da una coppia gay che si è conosciuta proprio via Grindr. Mi spiegano che il cotreggiamento è molto più diretto e meno complesso: le carte le metti in tavola subito, così da stabilire se si è in sintonia. Mi raccontano anche che sin dalle prime domande si cerca di capire se c'è compatibilità (sul piano sessuale, con domande dirette, mi dicono). Da come parlano capisco che, effettivamente, la loro comunicazione è più efficace di quella che conosco io. Eppure, mi dico, se questa comunicazione un maschio eterosessuale la prova con una ragazza eterosessuale, è probabile che si becchi del porco in un millisecondo.

Continuo a farmi illuminare dai due ragazzi su come funziona l'incontro by applicazione e su quanto diversa dalla "norma" (benché la norma non esista) sia stata la loro esperienza. Di solito, fatte le domande di rito sulle aspettative e le prefernze sessuali, mi dicono, si passa all'invio delle fotografie: se ci si piace, si passa all'incontro in carne ed ossa. Non necessariamente nel giro di poche ore, ma non è improbabile. La coppia con cui parlo, però, non si è incontrata subito e, dal principio, ha messo il veto sul sesso subito: volevano compagnia e non solo sesso. Tutti e due d'accordo; passa un po' di tempo e l'amore diventa concreto. Ora stanno insieme da anni e convivono. Mi dicono di essere una rarità, ma sono così in sintonia che gli dico esplicitamente che li invidio in modo patetico e che gli sarei grata se mi presentassero qualcuno.

"Abbiamo solo amici gay."
"Quindi, che faccio? Mi iscrivo anche io a Tinder?"
"NO! Su Tinder ci vai se vuoi scopare e basta."
"Ma magari con gli etero è diverso."
"No, tesoro, con gli etero è peggio. Perché gli etero se ti vedono su Tinder pensano che tu sia una mignotta. Ti giudicano."
"E gli omosessuali non ti giudicano?"
"Non come fanno gli etero."

Questa cosa avrei dovuto approfondirla, ma la conversazione si è estesa e sono arrivati altri pareri. La differenza principale che ho notato è stata che l'etero che si è intromesso mi parlava di Tinder elevando la sua posizione di conquistatore selettivo. Un giudicone che, mentre fa scorrere le foto delle ragazze per mettere "mi piace" o "non mi piace", commenta con "sei un cesso. Tu sei un troione. Questa è figa. Questa è vecchia..." e via dicendo.
La cosa mi basisce lievemente, soprattutto perché l'uomo in questione ha cercato di mostrarmi un'immagine di sé molto diversa dal patetico morto di patata con lo spessore della carta forno. Probabimente le due immagini (l'uomo interessante, appassionato di musica e con sinapsi attive e quella dell'amatore distaccato con gusti raffinati e esteta di livello sopraffino) non coincidono e, nel tentivo di raccontarci quanto rifugga le relazioni e quante belle pulzelle abbia selezionato da Tinder, gli è sfuggito il controllo delle cose.

Dopo aver sentito i peggio commenti sulle povere donne presenti su Tinder, tornando a casa rifletto sulla questione: fermo restando che nel sesso senza impegni non ci vedo nulla di problematico, al momento non sono molto interessata. Se mi iscrivessi a Tinder lo farei perché gradirei incontrare gente nuova e ultimamente la cosa si sta rivelando difficile. Ma, da quello che ho capito, su Tinder non funziona così: se il mi piace arriva, significa che il primo passo verso l'accoppiamento è stato fatto. Dopo di che, ognuno per i fatti suoi. Ripeto, niente di male: ma quel tipo di interazione la posso ottenere anche comprandomi un vibratore e, per ora, ho più voglia di conoscere qualcuno che parlare con un pene. Per di più, su Tinder ci si seleziona per foto: questo vuol dire che gli iscritti possono vedere la tua foto. Ora, per associazione, se il pensiero comune è che chi si iscrive a Tinder è lì per accoppiarsi e lo annuncia pubblicamente, non è il caso che io comunichi un messaggio del genere. Per di più sarebbe una balla.

Tinder non fa per me.

La cosa mi viene confermata da un mio carissimo amico e dal suo fidanzato dieci giorni dopo, i quali validano la descrizione che mi è stata precedentemente datta dell'applicazione. Tinder è per il sesso e basta. Okay, per ora depenno Tinder.

Poi accade l'imprevisto: ad un matrimonio salta fuori l'argomento Tinder e io mi sento ferratissima. Dopo la mia indagine è chiaro che in Italia l'immagine dell'applicazione è quella di un marciapiede virtuale su cui ci si incontra e ci si sceglie per fare sesso. E INVECE NO!

La confusione mi viene creata quando i presenti demoliscono ogni mia certezza, invitandomi ad iscrivermi e raccontandomi che diversi loro amici hanno trovato lì i loro attuali compagni.

"X ha conosciuto Y su Tinder. Non è vero che se sei lì è solo per scopare..."
"Z e W si sposano... E si sono incontrati su Tinder."
"Sono, però, l'eccezione. A me hanno detto un po' tutti che se sei su Tinder l'idea che passa è che cerchi solo sesso."
"A me non risulta."

Stesso messaggio mi viene comunicato da una delle mie più care amiche che attualmente risiede a New York: nell sua crociata verso la mia felicità e nello spingermi a combattere le mie paure e cambiare in meglio la mia vita, mesi fa mi aveva ordinato di iscrivermi a Tinder. Per fortuna o per sfortuna non l'ho fatto.

Ma siamo al punto di partenza. Tinder o non tinder? L'idea cambia da provincia a provincia? Da Stato a Stato? È una visione comune e univoca o la funzione è nella mente di chi la vede così? Se ti iscrivi a Tinder per trovare solo sesso, penserai che anche gli altri si sono iscritti per quella ragione? E dal punto di vista professionale, quanto è compromettente? L'amore si trova solo con le vecchie vie? O Tinder era una buona idea che è stata deformata da chi ha deciso che serviva solo per trovare patata?

In genere si dice che la verità stia nel mezzo; forse è così, forse no. Forse ogni volta che sarò a cena con gente che non conosco tirerò fuori l'argomento per allargare la mia indagine.

Una cosa, però, l'ho capita: quando la coppia gay mi ha detto che per loro era più facile, aveva ragione. La funzione per loro era chiara e univoca per tutti. Tutti sapevano perché esisteva l'app e come comunicare. Su Tinder no... Su Tinder c'è il perenne scontro tra chi non vuole nulla e chi vuole tutto e, su Tinder, c'è la presunzione di credere che la propria visione sia quella da applicare a tutti gli altri.
Alla fine a me Tinder sembra solo una trasposizione virtuale dell'incontro reale: un posto in più per conoscersi o per trovare preconcetti e per sentirsi dare della "facile". Se hai il seno grande e un abito scollato, chi ti vede per strada decide che sei una porcella. Se sei su Tinder, idem.
Se usato bene, può essere, invece, un posto in cui entrare in contatto con persone in più... L'occasione fa l'uomo ladro: Tinder portrebbe fare l'uomo o la donna fortunato. Dipendentemente dall'aspettativa e dal modus pensandi con cui lo si approccia.

Mentre scrivevo questo post, ho fatto qualche ricerca e da una divertente e simpatica indagine di Oltreuomo (qui), sembra che a) Grindr e i gay si capisco meglio b) Tinder ha preso la via della vetrina del sesso, spesso a pagamento. E in Tinder, o tutto o niente: o te la darò, in alcune province non gratis, subito... oppure smamma.

In tutta la mia riflessione, però, c'è un enorme e imperdonabile bias: ho avuto solo pareri maschili. La mia amica di NY è sposata e non è iscritta Tinder. Mi è stato offerto lo sguardo maschile su questo mondo virtuale, poi ho avuto la prospettiva gay, ma mi manca di parlare con quelle ragazze che su Tinder si sono iscritte. Se vi capita sfortunatamente di leggere questo post, scrivetemi e raccontatemi il vostro perché, le vostre aspettative e le vostre esperienze!

Il pensiero degli incontri online è quello che frullava nella mia testa quando ho deciso di scrivere un oneshot intitolata "That's a match!": ha richiesto che indagassi un po' sulle modalità di incontro online prima di trovare il sito che trovavo più simpatico.
Nel mio immaginario, per quanto ormai sia parte dell'universo delle relazioni umane, la relazione che nasce online è penalizzata dalla mancanza di diversi canali essenziali nella comunicazione (sarà colpa della mia formazione professionale attuale) e quindi porta a facili distorsioni del messaggio o a un'interazione che rischia di frammentarsi, in cui si perde un pezzo dell'intenzione, che rischia di diventare a volte poco autentica: penso che ci si possa innamorare online? Non lo so, forse: a me non è mai capitato, ma a molti sì e, soprattutto, ho avuto modo di conoscere diverse amiche in questa modalità. Ma di una cosa sono convinta: il virtuale non basta, mai. Non basta come surrogato sociale e non basta nell'incontro d'amore: se c'è una cosa che ho imparato a Gennaio durante un faticosissimo (e emotivamente intensissimo) corso, è che il non verbale arriva alla pancia e al petto con una schiettezza 2000 volte superiore. Conoscersi online può essere bellissimo, ma serve quel piano "animale" da cui non ci possiamo sottrarre per vivere un'esperienza autentica. La forma scritta è splendida, è potente, ma è anche scevra da ogni altro piano comunicativo e è ancora più facile perdere la sfumatura di un messaggio quando espresso solo a lettere: forse, Tinder, in quello si semplifica la vita... Ma non sono proprio sicura che sia in meglio. Ma, non avendone fatto esperienza in prima persona, non posso esprimermi in modo definitivo a riguardo.

Questo post era stato abbozzato e scritto mooooolto tempo fa e non so bene perché poi sia rimasto nelle bozze... Ma era lì, l'ho trovato, l'ho riletto e ho pensato che, per una volta, potevo parlare di qualcosa che non fossero sbrodolate emotive sulla storia, sulle difficoltà e sui ricongiungimenti tra me e i miei migliori amici. E, visto che ieri a quei tre e al nostro superamento del passato ho dedicato un post lungo un km (qualche sviolinata sul sostegno e le risate di oggi era anche per alcuni entrati nella mia vita negli ultimi anni, è vero, ma il grosso della stucchevolezza era per i miei vecchioni), ho pensato che fosse il caso di variare la minesta. Anche perché questo blog conta probabilmente più post zuppi di mie zuccherose riflessioni sui rapporti che di altro... e è il caso di variare topic ogni tanto. E di Tinder, benché passino i mesi, continuo a sentire parlare e emergono ogni volta strati più curiosi...

lunedì 13 marzo 2017

La solita minestra: amicizia in brodo.

Ai miei pochi ma buonissimi ingredienti... vecchi e nuovi.

Le relazioni posso essere un (triste) brodo di dado o delle deliziose zuppe. Non ci sono ricettacoli segreti: è il procedimento, la bontà degli ingrdienti e la cottura che ne determina il sapore. Se io ci metto 6 ortaggi bio a chilometro zero e tu ci metti il dado e basta... beh, si sentirà. Se tu stai lì a fare la pasta fatta in casa, la tiri, fai i mini spaghettini e lavi e tagli le verdure e io ci metto solo l'acqua, perché mi aspetto che tu per me faccia tutto il resto... beh, probabilmente sarà buona comunque, ma per te avrà un sapore amaro in ogni caso. E se la facciamo e c'è troppo sale perché l'abbiamo messo entrambi, ma uno dei due dice che è salata solo per colpa dell'altro... eh, lì farà schifo tutto, non solo la minestra.

Ci sono rapporti su cui non vale la pena di investire, ma quando lo capisci, hai già sprecato fin troppe energie. 

Ci sono rapporti per cui spendi tante parole, ti sforzi di formare lunghi pensieri e ragionamenti, e tutto quello che ricevi è un “Okay”, se sei fortunato.

Ci sono rapporti in cui ti apri, parli a lungo di te, di ciò che ti sta succedendo, in cui senti ascoltato, e poi capisci che hai parlato al nulla… Perché ascoltare non equivale a sentire in silenzio.
Ci sono rapporti in cui la comunicazione fallisce e le manipolazioni di fatti e parole si sprecano.
Ci sono rapporti in cui, per quanto ci provi, sbatti contro un muro. 


E poi ci sono i rapporti che ti colorano
: quelli in cui ridi anche nei giorni più pesanti.
Quei rapporti in cui parli per minuti lunghi ore delle difficoltà, delle insoddisfazioni, delle frustrazioni, della fatica… Sono quelli i rapporti che ti fanno dormire la notte: perché ti chiedono sempre come stai, come va, se hai superato l’ostacolo. E ve lo potete dire a vicenda che va tutto male o che sei proprio stanco. Lo puoi dire perché sai che ti ascoltano e, anche quando fingerai di non aver quel problema, loro se ne ricorderanno… E gioiranno quando gli dirai “forse qualcosa cambia” e ti incoraggeranno a fare, lottare, pensare che quello che stai facendo oggi è per il futuro. Ma soprattutto, saranno quei rapporti in cui tu farai lo stesso per loro: ascolterai, sosterrai, incoraggerai, ricorderai e  chiederai come va quella cosa, quella di cui non ti parlerà da qualche giorno, ma che sai li turbava. 
Sono quei rapporti per cui ti senti 3 volte al giorno in modo telegrafico (perché il tempo per lunghe pippe mentali davanti a un bicchiere di vino non c'è) per parlare sempre della stessa cosa, dello stesso dubbio, degli stessi problemi di tutti i giorni e va comunque bene: sono quelli che se non sai cosa fare, ti spronano a fare proprio la cosa che meno vorresti fare, perché è quella che fa paura e è anche la più giusta (“Portalo, ‘sto CV!”, “Parla con i superiori, è tuo diritto!”, “Provaci, al massimo va male!”).

Sono quelli che sanno che il mondo del lavoro (e non solo) richiede umiltà, ma che c’è un punto in cui tu hai bisogno di aprire la bocca e dire la tua… E sono quelli i rapporti che ti ricordano come farlo.
Sono rapporti fatti di reciprocità e cuore, in cui sai di esserti dato a chi avrà cura di te esattamente quanto tu ne avrai di loro. 

Ci sono tanti pezzi in un puzzle che forma un rapporto: sono tasselli diversi e ognuno contribuisce con pezzetti propri, unici e servono tutti per farne qualcosa. I rapporti funzionano solo quando si esce dalla propria minuscola prospettiva e si è disposti a sentire l’altro, non solo ad aspettarsi che l’altro senta e veda con noi. E se trovi quelle persone lì, quelle che sanno alzarsi dalla loro seggiolina in cui loro sono al centro e sanno sedersi in braccio a te, per vedere com’è la vista dalla tua posizione, conviene tenersele strette per la vita. Ma non solo. Serve ricordarsi che bisogna metterci lo stesso impegno che ci stanno mettendo loro; serve ricordarci che dobbiamo alzarci anche noi dalla nostra seggiola… Che dobbiamo avere cura di loro, non solo aspettarci che loro ne abbiano di noi. 

Sono quelli i rapporti che funzionano anche dopo che non ti vedi e non ti senti per due mesi, perché da adulti è impensabile trovare ogni giorno lo spazio per l’altro. Funzionano anche quando l’altro non era lì a farti da balia in un progetto o avvenimento importante, perché la vita non segue il nostro ritmo, e a volte anche l’altro ha qualcosa di importante per sé di cui occuparsi (es: qualche sciocca e patologica partita di basket, che però pare importante come la nascita di un figlio, e allora pace e bene).
Ci sono, poi, quelli per cui ti accorgi che hai sbagliato tu e, santa polenta, quello è il pezzo più importante della maturazione: perché riconoscere il proprio contributo nel fallimento di un rapporto è l’unica cosa che ci permette di aggiustarlo. Chiederci cosa possiamo fare noi, dove abbiamo sbagliato noi, senza pensare che sia sempre colpa dell’altro, senza credere che siamo sempre noi le vittime dell’ingiustizia altrui: i rapporti che durano decenni sono quelli in cui si sbaglia, si litiga, si discute, si parla e si scopre come ricominciare, insieme, partendo da ciò che NOI possiamo fare per ripartire. È l'autoanalisi e l'autocritica che salva i rapporti: ammettere che a volte la merda siamo noi e che non siamo per forza i poveri afflitti da un destino popolato solo da gente crudele. A volte gli insensibili possiamo esserlo anche noi: ma, nei rapporti che valgono, riusciamo a vederlo, a accettarlo e a superarlo insieme.

Quelli lì, quelli in cui non va sempre tutto bene, sono i rapporti migliori… quelli che sono destinati a durare per sempre. Perché cambiano, crescono, imparano qualcosa, ci insegnano qualcosa di noi.

Sono quelli in cui il tuo dolore non è meno importante o più importante di quello dell’altro, ma è un aiuto per l’altro a superare il proprio: l’ho imparato qualche mese fa da una delle mie più care amiche.



L’aneddoto: a Ottobre del 2016 la mia cagnolina di 16 anni è morta. Era qualche settimana che le cose andavano male e quando è successo per me è stato un dolore grande come ogni altro lutto: perché con lei ero cresciuta, perché era come un membro della famiglia, perché era “la mia Isotta”. Quella sera, la mia migliore amica, che mi è stata accanto ogni istante della giornata, mi ha telefonato e mi ha detto che la sua cara nonna era in ospedale. La conoscevo da 20 anni. La risposta naturale, per me, è stata mettere da parte le mie lacrime, perché non era pensabile paragonare il mio dispiacere con quello della mia amica. Me lo ricordo come se fosse ieri:
“Stefy, no. È un cane, è vero, ma non ha un valore inferiore nel cuore.”

“Ma figurati! Ci mancherebbe altro. È diverso.”

“Non lo è… non devi sentirti come se dovessi mettere da parte le tue lacrime per questo.”

Siamo state in contatto quasi tutta la notte, a parlare. La mattina successiva la mia amica mi ha chiesto di venire a casa mia per non stare sola: è arrivata, eravamo tutte e due orribili, con gli occhi gonfi e le lacrime cristallizzate negli occhi. Ci siamo abbracciate e abbiamo parlato per un’ora: quando la mia amica si sentiva meglio e era pronta ad andare, suo padre ha chiamato per dirci che la nonna se n’era andata. L’ho abbracciata per 3 minuti e quando stavo per sciogliere l’abbraccio, lei mi ha chiesto di non farlo. Poi mi ha sussurrato: “È con la Isotta. Io lo so. E questa cosa mi rasserena in un modo che non so spiegare.”

Ce le siamo immaginate per giorni, a mangiare arrosto e a farsi compagnia: era solo un cane, ma quella mia perdita ha aiutato una delle persone che amo più al mondo a soffrire meno nel suo dolore e insieme è stato più facile. 


Ogni giorno è così: sia rabbia, frustrazione, preoccupazione, alla fine riusciamo sempre a ridere e sorridere con le persone che valgono ogni sforzo. 

Ci sono rapporti e persone per cui vale la pena di piangere e arrabbiarsi: sono quelle che si impegnano quanto noi di uscire dalla propria microscopica visione di sé al centro di tutto e per cui anche noi siamo disposte a farlo. Sono quelle per cui molliamo tutto, anche il sonno, quando hanno bisogno di noi e sono quelle che farebbero lo stesso per noi.
Sono quelle con cui si trova sempre un sorriso, con cui - anche se si sbaglia - alla fine del confronto se ne esce meglio, entrambi. Con cui il senso di colpa non esiste, perché c’è la parola, c’è lo scambio. Con cui non c’è la colpevolizzazione: si sbaglia insieme, si aggiusta insieme. 


Sono quei rapporti lì che ci servono a affrontare ogni giorno, anche quando le cose che vanno bene sono molto meno di quelle che vanno male. 
Sono quelle persone a cui pensi una mattina a casa libera dal lavoro e per cui ti trovi a scrivere un post dopo secoli. 



E non è il tempo che rende quei rapporti straordinari: sono le persone, perché quello che ho detto e penso vale tanto per le persone che conosco da 30 anni quanto per alcune che sono parte di me da pochi anni. Sono quelle persone che riescono sempre a mettermi un sorriso sulle labbra… con cui mi scambio messaggi vocali mentre ceno dai miei, perché se no poi viene tardi e crolliamo come pere sul divano. Sono le personalità e gli incastri che rendono i rapporti la cosa buona anche delle giornate andate male e ci salvano da un futuro da gettare (forse).
 L'importante è ricordarsi che i rapporti belli sono quelli dove si ride insieme, anche quando l'unica cosa che vorresti fare è prendere a testare la porta (o l'altro).

martedì 29 dicembre 2015

Le somme dell'amicizia (web e non): il bello e il brutto che c'è

Siccome è fine anno, si tirano le somme. Di solito.
Non sono mai stata troppo brava a gestire gli ultimi giorni dell'anno: i propositi - se li faccio - sono irrealistici e i bilanci sono confusi. Perché non mi viene mai in mente molto.

Ieri sera, a una cena con le amiche storiche, si parlava proprio di questo: ricordare gli eventi importanti dei nostri anni.
Io non lo faccio. Incredibilmente, raggiunto un traguardo, vado oltre: è davvero raro che guardi indietro a quel giorno e, ho pensato, questa è una cosa davvero triste.
È triste, perché raggiungere un traguardo richiede una buona dose di energia e dovrebbe essere un orgoglio... ma - e qui sta il lato postivo - io sono parecchio sul qui e ora quando si tratta di eventi concreti. Non sono sul qui e ora su poche cose, tra cui gli affetti. La nostalgia dei rapporti è una delle poche cose a cui ripenso a fine anno: ci sono persone che ti mancano in modo indescrivibile e altre che - se hai avuto la fortuna di ritrovarle - sono il tuo bilancio di fine anno.

Nella mia storia Med ha 3 amici particolari: Bet, Jules e Leo.
Questi tre personaggi sono, come ho sempre detto, ispirati a persone esistenti.
Ispirati significa che non sono esattamente tre idioti come quelli che ho raccontato io, ma è la loro "anima", il loro valore nella vita di qualcuno e l'essere speciali per qualcuno che si riflette nei miei personaggi. E i capelli: Bet è bionda (Leti, BIONDA, non mora), Jules è mora e riccia e Leo è moro, con gli occhi azzurri e il tatto di un bue.

Perché vi parlo di loro tre a fine anno? Perché per diversi anni della mia vita due di queste tre persone non hanno più fatto parte del mio mondo e mi sono mancate più dell'aria.
Questo 2015, però, è stato diverso: sono successe tante cose nella mia vita (qualcuna buona, molte altre meno) e queste tre belve hanno ritrovato tutte il loro posto in me. O meglio, un posto nuovo. Migliore. A tappe, intendiamoci: l'anno scorso ne avevo di nuovo due, ma ne mancava una. Oggi non è più così.

Una delle tre, poiché la vita vera è cattiva, si è trasferita in una città molto lontana da me, ma non è cambiato nulla: ieri sera era comunque sul mio divano ad abbracciarmi e a bere vino con me. Perché quando un rapporto ha sfidato tutto (l'adolescenza, l'università, cose molto più brutte) qualche chilometro e il non vedersi ogni settimana non fa alcuna differenza.

Un'altra ha fatto il viaggio più bello di tutti, un viaggio di puro amore, e mi ha permesso di essere lì ogni secondo di questo viaggio: mi ha coinvolta di fronte ad una tazza di cioccolata e, settimana dopo settimana, abbiamo ritrovato ciò che eravamo dal 1996. Semplicemente, noi. Senza filtri, senza paura del giudizio, senza timore di dire "non ce la faccio. È troppo difficile."
Senza trucco e con i jeans buchi, sul divano con un pezzo di vita tra le braccia e una canzone sussurrata. Le lacrime non sono una vergogna, quando scorrono di fronte a qualcuno che non giudica la ragione per cui scendono. Perché da grandi la vita vera è diffcile, le responsabilità fanno paura, l'incertezza ancora di più. "Ho paura" trova come risposta solo un "Vengo da te". E ci vai, davvero: a qualunque ora, anche quando non sai neanche tu cosa bisogna fare. Ci vai, perché per quella persona sei disposta a imparare cose incredibili; a provare; a ascoltare ogni parola; a non aver bisogno delle parole.

Poi c'è la terza persona. La più idiota (se possibile). In questi anni c'è stata, ma non come oggi. C'era quando, quattro anni fa mi sono svegliata dall'anestesia, perché lavorava lì. Era lì con mia madre quando ho aperto gli occhi e detto qualche incomprensibile minchiata sul suo camice bianco (e sul fatto che non avevo il reggiseno).  Quella con cui, dopo tanti anni, mi sono trovata a fare ancora le 4 di mattina in macchina a parlare. Parlare sul serio: di emozioni, affetti, a dire la mia e sentire che non stavo parlando a vuoto, che qualcuno stava davvero ascoltando le mie parole, le faceva sue e stava pensando cosa fare. Perché parlare di certe cose non è facile: quando si va sul piano emotivo spuntano una serie di blocchi, l'impressione di essere in un film. È molto più semplice discutere del nulla. Con alcune persone più che con altre. Eppure, questo 2015, io ho ritrovato anche questa usanza: film che solo noi due possiamo andare al cinema a vedere ogni settimana, confronti a cuore aperto, dire "mi manca quello che eravamo" e "sono felice che ci siamo ritrovati". Dire "ti voglio bene" ad alta voce. Non aver paura di dire "Sei imbecille: metti da parte l'orgoglio. Se io non l'avessi fatto e non avessi messo da parte quel disastroso Natale, ora non saremmo qui in macchina" e sapere che non è cambiato niente e l'unica risposta che sentirai sarà "No". Perché la vita cambia, ma certe cose restano le stesse, ad esempio i "Leo".

I bilanci buoni degli affetti sono quelli che, a fine anno, ti fanno pensare che hai visto 5 matrimoni di amiche che conosci da quando avevi 5 anni, che hai visto nascere un bambino, che hai trovato l'amicizia insieme alla musica, che hai sentito molte amiche parlare di gravidanza (DIO ME NE SCAMPI, SE PENSANO DI RESTARE TUTTE INCINTE CONTEMPORANEAMENTE COME HANNO FATTO CON I MATRIMONI), che abitare a New York non ha corrotto di un grammo la bellezza di un'amicizia di quasi 25 anni, che hai ritrovato il ragazzo che ti faceva incazzare come una iena a 16 anni e che - dopo tanto - sai che è l'unico essere col cromosoma Y che hai chiamato "migliore amico". Ci metti anche le amicizie "virtuali", nel bilancio buono: perché non è facile guardarsi indietro e vedere che hai costruito davvero rapporti sinceri, profondi e reali con persone conosciute via etere. E, a quelle poche persone conosciute via WEB e che - dopo qualche anno - ancora sono con te, tu vuoi davvero bene. Con qualcuna sei persino andata in vacanza (due volte!) con la tua famiglia.
Lì pensi che, alla fine, se ci metti la dedizione e il cuore, internet è solo una forma moderna di bar e le sue pontenzialità sono splendide.

I bilanci buoni dell'amicizia sono il meglio di fine anno: ti fanno capire che alcuni rapporti sono fatti di un tipo di amore tanto perfetto che non può smettere di esistere. Si rimodella, prende una forma nuova dopo i più brutti scontri, le liti più subdole, le separazioni più lunghe e le distanze più dolorose. È lì che pensi che l'amore è proprio una roba indissolubile, quella cosa che batte anche la fisica: quando capisci che, per tornare insieme, ha abbattuto tutti gli ostacoli emotivi, del tempo e della vita.
E tu lo sai che, per quella forma di amicizia, faresti qualunque cosa. Qualunque cosa.

Ma a fine anno un pezzettino di bilancio lo dedichi anche alle "cattive amicizie". Un pensiero solo, per quelle, perché non valgono molto: a volte investiamo pezzetti di cuore in persone che non lo vogliono. O meglio, fingono di apprezzarlo, ma in noi non stanno investendo nulla di sé, solo la propria vanità. Purtroppo, la nostalgia ti fa tirare le somme anche su queste, a fine anno. Quelle che ti vedono solo quando fai loro da sostegno; quelle che non sostengono te e i tuoi piccoli tentivi; quelle che ti tengono fino a che non trovano qualcuno più bravo di te in qualcosa; che vedono solo se stesse, le proprie abilità e le proprie necessità. Quelle che hanno un giudizio per ogni cosa, che non sono trasparenti, che non vedono la tua luce, che non sentono la bellezza dell'amore che tu dai loro.
Ecco, a fine anno io a quelle persone vorrei solo dire che le vedo: le vedo da un po'. Che non rimpiango l'affetto che ho dato loro e che lo farei ancora se sapessi che quello che dono ha per loro un valore. Perché di cuore ne ho uno e, non avendo l'amore, l'ho sempre investito tanto nell'amicizia: ma è pur sempre uno solo e io penso fermamente che ogni pezzetto di esso che dono abbia un valore immenso. Se per queste persone non vale nulla, me lo riprendo volentieri e lo conservo per chi lo apprezza.
A 31 anni sono stufa di investire in persone che non investono in me; di voler il bene di persone che me ne vogliono solo quando serve a loro; di cercare di costruire rapporti da sola; di sperare di essere vista. Conservo i ricordi di quando credevo fosse qualcosa di vero, prendo coscienza di ciò che è reale e guardo avanti.

Niente propositi per il 2016: non li faccio da tempo.
Solo una speranza: che l'anno prossimo a quest'ora io possa avere ancora qualcosa di meraviglioso sull'amicizia da raccontare.

Una piccola speranza per le mie passioni: che scrivere torni ad essere qualcosa che riesco a fare (anche se in modo mediocre) e che, con quello che scrivo, io possa raccontare l'amicizia come la vedo oggi e che riesca a far ridere qualcuno proprio come rido io con alcuni di questi amici.

Sul lavoro e sull'amore non metto nulla perché sono fottutamente scaramentica e temo di portarmi sfiga da sola.

E con 'sto attacco di logorrea (i mei amici sanno apprezzare persino quella, pensate un po'!) vi saluto e, per adesso, auguro un buon martedì... E un delizioso fine anno senza petardi, che la mia Maia si caca di brutto quando sente i botti.

martedì 17 novembre 2015

In the arms of an angel



"And everywhere you turn
There's vultures and thieves at your back
The storm keeps on twisting
Keep on building the lies
That you make up for all that you lack
It don't make no difference
Escaping one last time
It's easier to believe
In this sweet madness
Oh this glorious sadness
That brings me to my knees
In the arms of the angel
Fly away from here
From this dark cold hotel room
And the endlessness that you fear
You are pulled from the wreckage
Of your silent reverie
You're in the arms of the angel
May you find some comfort here"


Avevo postato questo link su FB in precedenza: poi non ero del tutto convinta e ho cancellato sia il link che il post annesso.
Io stessa ho usato troppo le parole: purtroppo sono una persona che si inalbera facilmente e - molto spesso - posto altrettanto in fretta quando non dovrei. Ho sempre pensato che essere impulsivi fosse un difetto; un difetto che, in alcune circostanze, posseggo.
Mi sto dilungando quando, in origine, volevo solo includere il testo e la canzone: il fatto è che ho sentito ancora una volta il bisogno del mio spazio, di quel posticino in cui posso passare e scrivere cose insensate e che smetteranno di appartenermi subito dopo. È da qualche giorno che questo blog mi manca: no, non mi sono improvvisamente svegliata con l'illuminazione e ho finalmente trovato una ragione per cui questo posto può esistere. Ho semplicemente pensato che alcune cose per essere dette e non perdersi all'istante, hanno bisogno di una casina. Per oggi il blog viene scongelato... Poi si vedrà.

In ogni caso, il post voleva solo essere un'espressione senza i filtri delle mie inutili parole: ho sempre pensato che questa canzone sussurrasse tante cose oltre alle parole del testo. L'avevo cantata secoli fa ed è sempre rimasta nel mio pc... Ora è fuori solo perché in certi casi con le canzoni si parla meglio che con le parole. Nel mio caso, oggi è così.

NB: Quasi sicuramente tra mezz'ora mi sarò pentita di questo post e di questa cover e tornerò alla modalità freezer... Non vogliatemene: ormai sapete che sono un'inetta.


lunedì 5 ottobre 2015

Sometimes you just have to give up

No, non scriverò un post in inglese (anche se non è da escludere che scriverei meglio in inglese... il che è tutto dire)... Ma la frase rende meglio così.
Oggi è lunedì e il lunedì si tende a pensare, sentire e vivere male. Di norma io provo a respingere il polo negativo del primo giorno della settimana: a volte mi va bene, altre fallisco miseramente.
Sono le 10:23 e per ora la lunedite si è insinuata per bene in me.

C'è da dire che, come previsto, se due settimane fa avevo avuto soddisfazioni sul lavoro, con la musica e ero riuscita a tornare a scrivere, la scorsa settimana è stata per me una settimana infernale su ogni fronte (oltre a quelli elecanti) a parte il lavoro. Quindi non è da escludere che io mi porti dietro della negatività residua.

Comunque.


Sono sempre stata una che faceva fatica a arrendersi, a mollare, a abbandonare ciò che pensava fosse bello. Sempre. Ho sempre pensato che se qualcosa ti aveva dato gioia per un po', valeva la pena di essere preservato, riconquistato, coltivato.

Le persone come me, però, sono incredibilmente moleste, perché non capiscono quando è ora di mollare.
Ogni tanto, però, anche quelli come me comprendono che non tutto può restare o tornare ad essere quello che era.
Oggi mollo un po' di cose; oggi, complice il lunedì, non credo che tutto debba essere tenuto; oggi penso che, forse, posso mettere da parte i miei patetici tentivi di tenere vivo tutto... Oggi smetto di essere molesta. Oggi, la conquista è saper dire basta.

È innegabile che, a volte, vorremmo portare indietro le lancette a quando una cosa funzionava, era vera e aveva un senso: ma il cambiamento è anche questo. Le relazioni si modificano, le idee assumono forma e valore diverso, le strade si biforcano.
Ci ripensi, ogni tanto, a quello che era: a quanto di te hai investisto per qualcuno o per qualcosa, a quanto ci credevi. A quanto, in alcune occasioni, sei stato ingenuo. A quanto capita di sopravvalutare sé e le cose.
Ci sono stati, nella vita di tutti, dei giorni in cui la ruota delle cose e degli affetti girava bene: quelli sono ricordi che vanno conservati con tenerezza, non con amarezza. Ci sono stati regalati per permetterci di cambiare qualcosa; ognuno di quei giorni, ogni parola serviva per portarci un po' più in là. È indubbio che "cedere" ad un cambiamento che non ci piace sia difficile, ma non di meno necessario.

Le cose che non funzionano, si aggiustano; quelle che non si possono aggiustare, si lasciano indietro.

Io oggi chiudo, tra le altre cose, il blog.
Lo chiudo perché non è un blog. Lo metto in pausa, perché non voglio perdere le tracce di quello che è stato per me: ogni post scritto nasceva da una parte di me che in quel momento aveva un valore preciso... Va conservato, ma va conservato per me.
Non ha mai davvero funzionato: se non per qualche post ridicolo e per qualche altro di "prime volte", non è mai stato nulla di più che un posto in cui scrivevo parole a vanvera. Non aveva un senso o un tema specifico.
E, come troppo spesso capita con la sottoscritta, non era costante.
Ogni tanto ti fermi e pensi che, alla fine, ogni cosa ha fatto il suo corso... che le pezze non servono a molto e che "giving up" è solo una parte nuova di un movimento, di un cambiamento che non si ferma.

Il blog era nato per TuttoTondo... ma non è stato dedicato a TuttoTondo.
TuttoTondo è qualcosa a cui non rinuncerò fino a quando non avrò pubblicato l'ultima scena dell'ultimo capitolo: quella che è scritta da tempo. A TuttoTondo non penso che sarò mai in grado di rinunciare, nonostante la fatica e la qualità che si abbassa. Per TuttoTondo insisterò sempre... più per me, che per la storia in sé. Ma il blog, in questo momento, mi sembra qualcosa che tengo in vita ad agonizzare... Qualcosa che se ne sta lì nella rete, ignorato e dimenticato se non per qualche raro guizzo di vita.

Detto questo, non credo di fare torto a nessuno, se non al blog stesso al massimo.

Non lo cancello, perché magari un giorno riuscirò a dargli un nuovo senso e un nuovo scopo; ma lo chiudo, perché per ora ha solo l'aria di un diario, esposto a tutti senza un vero perché.
Se mai saprò dargli la forma di un posto in cui ridere, riflettere, apprezzare o scoprire qualcosa, lo toglierò dalla sua ibernazione... Per ora lo congelo: ho già troppe cose pubblicate e lasciate in sospeso.

Quindi, per oggi "I give up"... Non escludo di cambiare idea: siamo tutti in continua trasformazione e magari un giorno capiterà che io abbia davvero qualcosa di interessante da dire, qualcosa su cui riflettere o qualcosa da amare a parole. Oggi il lunedì mi fa pensare che questo posto abbia bisogno di dormire per un po'.