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martedì 11 novembre 2014

PUZZLE COVER REVEAL (ottavo pezzo): TRENTATRÈ DI MIRYA





E se Dio fosse uno di noi?

Io sono cresciuta andando a scuola dalle suore.
Oggi comincio così, perché per la prima volta nella vita mi trovo a partecipare ad un Cover Reveal e non uno qualunque.
Chi è sfortunatamente approdato da queste parti in passato sa che questo non è un lit blog, ma la persona che ci scrive pensieri e idiozie ama la lettura. E ama leggere libri che si rivelano speciali. E ama chi quei libri li scrive.

Oggi sono qui per parlarvi di un libro che tra poco potrete stringere tra le vostre manine: “Trentatré” di Mirya.
Ammetto di essere un po’ fuori dal mio elemento e il mio post non è venuto come avrei voluto: speravo di riuscire a farvi capire quanto di meriviglioso ci attende in questo libro senza spoilerarvi e esprimendovi il mio amore incondizionato per l'autrice, ma le mie splendide ragazze della banda del Read Along nei giorni scorsi hanno saputo guidarvi nella scoperta di questo prezioso libro con la grazia che non posseggo io… e nel geniale tour organizzato da Anncleire di Please Another Book.

Che cosa sappiamo di Trentatré e che cosa possiamo dire?
Di fatto sappiamo molto poco (o, per lo meno, c’è poco che possiamo dire): già, perché Mirya reca malvagità inside e sulla sua pagina ha seminato spoiler e teaser dall’inizio dei tempi, eppure la verità è che non sappiamo davvero quello che ci aspetta.


Come le altre fanciulle, tempo addietro ho avuto l’onore di leggere il prologo (che ora siete così fortunati da poter ascoltare qui, letto direttamente dalla inebriante voce di Mirya) e praticamente da allora non sono più riuscita a smettere di pensarci.
Ma cosa si intuisce dalle anticipazioni?
Di cosa parla? Parla di Dio… anzi, di D. e di quello che neppure D. sa o può aspettarsi. Di un D che non conosce davvero quello che lui stesso ha creato e che si mostra in una veste umana ma pur sempre divina. Parla di noi e di un D. che impara dalle sue stesse creature: ne scopre la complessità e la Grazia.

Grace.

Un libro, l’ho detto più volte, non è mai una cosa sola: non aspettatevi nulla che possa essere intrappolato in una sola categoria. Mirya ha creato qualcosa che vuole andare oltre lo schema, qualcosa che scende nel profondo dei significati e che ti costringe a pensare. A riflettere. A indagare dentro di noi.

Mirya dice:


"Trentatré non è adatto a chi ha idee religiose molto convinte e serie e non gradisce riderci su. Non è adatto nemmeno a chi cerca solo un romance, perché non sarà un romance nel senso consueto del termine, anche se ci sarà una coppia principale. E ci saranno molte parti in questo libro che potrebbero dare fastidio, per motivi che capirete prestissimo.”



Io sono cresciuta dalle suore… e come per la maggior parte di quelli che l’hanno fatto, io e D. negli anni ci siamo un po’ persi di vista. Non sappiamo bene come definire il nostro rapporto, ma se tutto ha origine in lui e Mirya è stata il suo strumento, forse Dio ha un bel po’ di senso dell’umorismo e ha scelto di parlarmi attraverso una donna nuova. Stavolta senza veli. Sì, il doppio senso è assolutamente voluto.

Lei sa far ridere e pingere in un modo così geniale che, tra le lacrime, non saprete dire se state piangendo dal ridere o di disperazione. Ve lo dico per esperienza personale.

Non so se ci si può innamorare con le parole e delle parole, ma io credo di poter dichiarare che Mirya sa sedurre ogni volta che scrive. Sa toccare il lettore e se un autore riesce a lasciare un segno, allora ogni fatica sarà valsa la pena.
Bene: innamoratevi come me, abbiate la mente aperta e il cuore pronto… a ricevere qualcosa di più dell’amore, di più delle parole e di più del pensiero.

Mirya ci racconta una storia che non si muove mai su un solo piano, che esce dalla “safe zone” del genere o dell'argomento centrale e si dispiega in più direzioni, toccando verità e temi delicati, esplorando “l’amore” e “la vita”, qualunque cosa essi siano. L’ironia, il sarcasmo pungente, il modo vivido e preciso con cui l’autrice scaglia la storia nella mente di chi sceglierà questo libro, saranno il condimento perfetto: non so molto più di voi del libro (so qualcosa in più, lo ammetto), ma so che sarà un’esperienza unica. Un libro che lascia il segno con le sue parole e con i suoi protagonisti: e qui arriviamo al mio ruolo di oggi… Alla copertina.

Le mie “colleghe” in questo Cover Reveal vi hanno ormai fornito un quadro quasi completo della splendida modella che troneggia sulla copertina di Trentatré e oggi io vengo a voi col il penultimo pezzettino.






Sapete anche del Giveaway, ormai, in cui Mirya mette in regalo una copia del libro a chi saprà indovinare il nome di un personaggio di cui non ci ha svelato praticamente nulla. Ecco, per aiutarvi a vincere io oggi ho per voi l’ultima lettera!





Per vincere non dovrete fare altro che commentare l’ultima tappa di domani su Please another Book, con il nome che pensate appartenga al personaggio misterioso…

Ora, nel caso vi siate persi le tappe precendenti di questa avventura, vi ordino immediatamente di andare a visitare i blog che hanno partecipato (anche perché se no non potete indovinare il nome per il giveaway!)


Martedì 4 novembre: Primo Pezzo Anncleire su Please Another Book
Mercoledì 5 novembre: Secondo Pezzo Erika su Wonderful Monster
Giovedì 6 novembre: Terzo Pezzo Kikkasole su Testa e piedi tra le pagine dei libri
Venerdì 7 novembre: Quarto Pezzo @ciaradh_ & @Kiadalpi su Ikigai
Sabato 8 novembre: Quinto Pezzo @ilovereading_ su Petrichor
Domenica 9 novembre: Sesto Pezzo @Endif1 su Il Sorriso in una pagina
Lunedì 10 novembre: Settimo Pezzo @dituttocuore su Di Tutto Cuore


Domani tutti pezzi avranno un senso e troverete la copertina finale e la trama del libro svelati da Anncleire:
Mercoledì 12 novembre: Copertina completa + Trama su Please Another Book


E, in ultimo, due cosine (il termine è usato appositamente per Mirya, lei capirà perché) sull’autrice, proprio come raccontato negli altri blog:

"Mirya è indiscutibilmente nata; altrettanto indiscutibilmente vive, per puro caso a Ferrara, con il figlio e il marito. Il suo desiderio di includere nel nucleo familiare il kindle si è scontrato con la definizione di essere umano, che pare non potersi estendere al reader, nonostante esso risulti più utile e affezionato di alcuni cosiddetti esseri umani.
Sempre a Ferrara, per non ammorbare il resto del mondo, Mirya insegna le materie umanistiche e la sopportazione del dolore agli alunni liceali, celandosi dietro al suo reale nome anagrafico che, come tutte le cose reali, non dice nulla della realtà.”


La potete trovare su Facebook, su Twitter, su Efp e sul suo Blog.

lunedì 20 ottobre 2014

Manuale della perfetta adultera di Ella M. Endif


In realtà avevo in progetto di scrivere questo post cinque giorni fa, e cioè quando il libro è uscito su Amazon... ma faccio pena a gestire il tempo.

Ma andiamo con ordine: la mia stima nei confronti degli autori italiani che trovano il coraggio e la determinazione di autopubblicarsi è cresciuta in modo esponenziale nell'ultimo anno. Mesi fa non sapevo neanche cosa fosse il self-publishing, poi ho pensato fosse appannaggio degli Americani (che hanno un pubblico ben più vasto) e infine ho scoperto che è una realtà in continua crescita anche da noi.
Oggi sono qui proprio per un'autrice che ha scelto il self: Ella M. Endif e il suo "Manuale della perfetta adultera", disponibile da qualche giorno in vendita su  Amazon (per i lettori amanti di GR, avete a disposizione le info qui).

Di che parla? È una storia d'amore? È solo una storia d'amore? I libri scritti col cuore non sono mai solo storie d'amore, ma per capirlo bisogna saper leggere con una mente che vive le parole scritte, non si limita ad osservarle. Perché chi scrive modella per il lettore ogni frase con cura, gettando le basi per emozioni vivide e per spostarci dal nostro universo: essere spettatore in un libro significa assaggiare solo la metà di quello che l'autore ha fatto per noi. Ed Ella ha plasmato per noi un'avventura fatta di molte più forme d'amore e molte più sensazioni di quelle che la semplice dicitura "storia d'amore" può raccogliere. Basta leggere la trama (e aver barato, sbirciando oltre i 3 capitoli che l'autrice aveva messo a disposizione dei lettori prima dell'uscita) per capirlo:

"Loreline Preston vuole essere felice: vuole che il suo matrimonio funzioni, che le montagne che circondano North Conway inizino a piacerle, che suo figlio cresca amato e sicuro di sé. Ryan sa che nulla si ottiene senza sacrificio, perché nulla le è stato regalato e sa che rigore, disciplina ed onestà sono gli unici mezzi che ha per mantenere unita la propria famiglia. Non teme la rinuncia, anche se questo significa riporre i suoi sogni in un cassetto. Non teme la lotta contro se stessa perché, per amore di suo figlio, ha ridotto la sua voce interiore al silenzio e si è convinta di non desiderare altro.
Trevor Knight è un uomo ambizioso: vive a Chicago e lavora in uno studio legale prestigioso. Sa cosa significa avere potere, sa come manipolare persone e situazioni per trarne sempre un vantaggio. Autocontrollo e perseveranza sono i suoi tratti distintivi. Non ha legami e non ne sente la mancanza. Anche con la sua famiglia d’origine mantiene rapporti distaccati e quando i fratelli gli chiedono aiuto per un problema burocratico della scuola d’infanzia che dirigono, è costretto a trasferirsi per un po’ a North Conway.
Un solo bacio con uno sconosciuto è l’unico momento di pazzia che Ryan è disposta a concedersi nella sua esistenza fatta di doveri, prima di tornare ad Andy e a un matrimonio che le si sta frantumando tra le mani. Un solo bacio non basta a Trevor, che pensava di avere già tutto ciò che desiderava e scopre, invece, di avere un vuoto che soldi, successo e bellezza non sono mai riusciti a colmare.
Il caso congiurerà contro di loro per farli incontrare ancora, perché la vita è imprevedibile, i progetti sono fatti per essere rivoluzionati e le certezze per essere messe in discussione. Ryan e Trevor riconosceranno nell’altro il completamento di se stessi, ma lotteranno a lungo prima di capire che smarrirsi del tutto è l’unica strada percorribile per ritrovarsi davvero."


 Sì, sì, è una storia d'amore, ma c'è di mezzo la riscoperta di una donna, non solo il sesso. C'è l'amore per un figlio - che è la forma più elevata di amore - e c'è una donna che si libera da se stessa per un momento, percorrendo quella strada che la porta verso ciò che non immaginava.

Questo post non poteva cadere in data più azzeccata, perché oggi parte una delle iniziative che nell'ultimo anno mi ha più colorato le settimane, facendomi scoprire il piacere della lettura insieme: il Read Along di Please another book. Ecco, l'iniziativa in sé è una meraviglia e oggi parte la lettura di gruppo di questo libro... ovviamente io parteciperò! Il regolamento lo trovate qui (Trevor Read Along) e potete iscrivervi su GR o sulla pagina FaceBook della fantastica blogger ( qui ). Vi assicuro che, una volta provata l'esperienza dell lettura corale, non vorrete più farne a meno e quale occasione migliore per rendere meno odioso questo lunedì, se non inziando la lettura di un romanzo che promette di lasciare il segno per delicatezza, cura e passione? Perché i temi che Ella sceglie di affrontare sono incredibilmente difficili e, per riuscire a rendere empatico il lettore, ci vuole grazia, sensibilità e talento: tutte cose che (sempre perché io baro e ho sbirciato un po' il libro prima che iniziasse il RA) so che l'autrice possiede e che sfrutta per regalarci non un prodotto, ma un dono fatto di parole incise bianco su nero, che promettono di restare con noi ben oltre l'ultima pagina. Se queste sono le mie sensazioni solo dopo aver sbirciato, ora che il RA è iniziato non so come farò a rispettare le scadenze.

Vi lascio quindi con una speranza: quella di vivere le emozioni che Ella ha creato per noi, scoprendo una via migliore per vivere il lunedì e assaporando la lettura fatta di condivisioni e confronti.

E vi saluto con due chicche: la prima è il link alla pagina FaceBook dell'autrice e la seconda è un video. Ho chiesto a Ella se ci fosse una canzone che incarnava la sua idea della storia che ha scritto. La sua risposta è stata più o meno: "Someone like you. Capitolo 16."

Ecco, criptica ma chiara: quel capitolo va letto con quella canzone come colonna sonora.

Someone Like you di Adele

E restando in tema di musica, chiudo con soundcloud: Annclaire di Please Another Book ha prestato la sua deliziosa vocina per introdurci al libro, leggendone l'inizio qui!

Qualche mese fa, invece, io avevo fatto una patetica e imbarazzante cover di "Someone like you" versione acustica e non per il compleanno dell'autrice: le trovate nella mia solita pagina di soundcloud se vi va.

Buona Lettura a tutti, sperando di vedervi nel RA e di aver illuminato l'orribile lunedì che ci attende.

lunedì 8 settembre 2014

Quale confidenza? Storia di un virtuale che si fa reale.

Ricordo di essere sempre stata tra quelli che storcevano il naso di fronte a racconti di incontri online. Mi sono sempre chiesta come si riuscisse a stabilire un rapporto attraverso le parole sul filo della rete; come sapere chi è la persona a cui racconti di te? Come è possibile pensare di conoscere qualcuno di cui non hai mai sentito la voce o che non ti ha mai parlato con gli occhi? Io sono una persona di pelle: lo sono sempre stata (sarà anche per l’abbondanza della mia carne, che forse amplifica la mia percezione fisica delle persone) e - purtroppo - parlo più col corpo di quello che si ritiene socialmente opportuno. Ovviamente sono anche vocalmente logorroica, come è noto. Da persona fisica, l’idea di essere limitata alle sole parole nella comunicazione rendeva incomprensibile il concetto stesso di “incontro online”.
Quello, più “Catfish” su Mtv, mi hanno sempre resa diffidente nei confronti di questo genere di rapporti.
C’è, in particolar modo, la questione dei tutti quei messaggi impliciti che sono trasportati dal tono della voce, dalla postura, dall’intonazione delle frasi, dall’immediatezza della risposta face-to-face che vengono meno nel virtuale e di cui io mi nutro nel rapportarmi all’altro.

La confidenza: come si crea online? Come si sa quanto in là ci si deve spingere? Come si percepiscono i limiti dell’altro che non si devono oltrepassare? Come si trova la propria dimensione di comfort e di fiducia?

Ad essere onesti io non ve lo so dire: ognuno ha il proprio confine, quello spazio in cui si trova a suo agio e in cui solo alcuni riescono ad inserirsi con successo. Forse, anche lì, è questione di pelle (virtuale), di percezione… non tutti hanno la stessa sensibilità e sanno cogliere cosa è lecito e cosa no.
Io sono una persona piuttosto esuberante e, a volte, ripenso a quanto poco mi controllo e mi dico: “Mamma mia, che figura di menta!”.

Non sempre inserisco il cervello prima di aprire bocca, purtroppo.

Eppure, a dispetto di ogni mia previsione, mi sono trovata nel vortice della comunicazione virtuale e, con poche persone, sono riuscita a trovarmi in piena sintonia. Poche, perché io diffido sempre di chi va d’accordo con tutti: come nella vita reale, è impossibile avere feeling con tutti.

A distanza di due anni dal mio ingresso nel mondo dei rapporti virtuali posso dire di aver avuto l’onore ed il piacere di scoprire persone meravigliose: donne incredibili che ho potuto incontrare dal vivo per innamorarmene ancora di più.
Quello che ti attraversa il cuore quando te ne stai seduta al tavolo di un bar con un bicchiere di vino e patatine stantie, sfogliando libri ingialliti e parlando come se avessi sempre sentito le loro voci dal vivo, non si può raccontare a parole: le senti ridere, le osservi camminare accanto a te (mentre sudi come un maiale perché c’è il sole e - loro non lo sanno - ma tu stai trasportando 10 chili di libri), riprendere conversazioni che fino a ieri erano solo scritte e non sentire la differenza, poter finalmente riuscire ad associare un viso a un sentimento.


La rete ti toglie il dramma della piacevolezza a pelle, dell’insicurezza legata alla fisicità, ma riduce tutto a qualcosa di molto più intimo: sì, perché nel virtuale quello su cui ti misuri è l’interno. Te stesso. L’essenza di quello che sei. È in quella dimensione che si creano le interazioni: sono le anime nude e crude che si confrontano. E lì, gente, sono cazzi.
Lì non puoi più nasconderti dietro al pregiudizio: se non piaci, quello che non apprezzano sei TU.

Certo, ci sono sempre i limiti del linguaggio non verbale (che io vivo come essenziale) e le difese che tutti abbiamo per proteggerci restano; la speranza è sempre quella di piacere a chi piace a noi, è ovvio… Ma quando vengono meno certe barriere, l’unica cosa che ti rimane è essere capaci di mostrarsi per quello che si è. Quello sì che fa paura.
Il virtuale, al contrario di quello che si potrebbe pensare quindi, può farti molto più male del “reale” se visto in quest’ottica. Dare fiducia, avere la fiducia di qualcuno e non oltrepassare i limiti è una questione molto più complessa e delicata.
Capire. 

Capire l’altro, quanto l’altro vuole investire in te, quanto in profondità ci si voglia conoscere, quanto qualcuno è degno di fiducia, quanto di vero si dona e si riceve… quanto stai rompendo il cazzo. Sembra una sciocchezza, ma se si investe davvero in un rapporto, sono tutti punti incredibilmente importanti.

Io sono nuova in questo universo: c’è un’etichetta nel mondo virtuale, un bon ton di educazione che va rispettato e che è complicato da conoscere. E c’è un modo consono di approcciare l’altro, di scoprirlo per farsi scoprire.
Ognuno può scegliere quanto è disposto a donare di sé e può decidere fino a dove avere paura. Ci sono persone di cui non ti interessa sapere più di tanto e ce ne sono altre con cui piano piano coltivi te stesso.
Quando arriva il giorno in cui puoi finalmente abbracciare le persone che scegli come tue, ho capito ieri, il timore di deludere va alle stelle.
Sono salita su un treno per trovare due cucciole ad aspettarmi: due dolcezze nel panico, con sorrisi luminosi e una luce fatta di tenerezza negli occhi.

Sedute in quel vagone mi hanno raccontato dei loro timori e, ascoltandole, ho compreso anche io quanto quell’incontro fosse importante: ieri avrei portato a loro me stessa. Loro mi conoscevano già: certo, non conoscevano la mia essenza nel corpo, non potevano immaginare che sparo molte più vaccate dal vivo, che sono maldestra e che non riesco a tenere a mente neanche un “big Mac menù con Coca normale”.
E allora, parlando con quelle due cucciole, ho cominciato ad agitarmi un po’ anche io con loro: le insicurezze sono strisciate a galla e la consapevolezza di soffrire di diarrea verbale è tornata da me. Ieri era un banco di prova: quel timore che ti pervade quando ti fai conoscere è vivo più che mai in momenti come questi. 


E torna la pelle. Torna il contatto. Torna tutto quello che lo schermo ti leva: è ancora una volta “una prima impressione”, ma qui non ci sono scuse, perché quelle persone ti hanno già conosciuta.
C’è chi è arrossito e mi ha sciolto il cuore e c’è chi mi ha fatto innamorare con un ciao. Chi aveva il cuore negli occhi e chi mi ha travolto con l’entusiasmo. Ho assaporato la dolcezza delle donne, la spontaneità nelle parole, la saggezza di chi conosce questo mondo da tempo. Chi ti ha fatto scoppiare di divertimento per il desiderio di voler sapere TUTTO.
Io spesso mostro l’imbarazzo con il sorriso, l'eccesso di parole/entusiasmo e la goffaggine. Poi, diciamolo, sudavo come se stessi raccogliendo cotone nei campi… e quello non è che faccia proprio una bella impressione. E vengo da Brescia, il che implica che il mio accento rechi sempre con sé la cantilena del “Potaaa”.

I banchi di prova fanno sempre paura: i rapporti sono sempre difficili da bilanciare; non è mai facile sapere se sei “troppo” o “troppo poco”.
Ma quando decidi di non avere paura e di esistere con qualcuno, il giorno in cui ti ritrovi  parlare insieme, dal vivo e con la gioia nel cuore, sai che i timori fanno parte del mettersi in gioco… E che, per una volta, avere paura ne valeva la pena.

La confidenza si crea insieme, percependo l’altro e dando di te quanto lui vuole ricevere: piano piano, mai in modo affrettato.
Nessuno potrà mai dirti se eri all’altezza delle aspettative e, onestamente, esserlo non è per forza la cosa importante... tu non puoi essere diverso da quello che sei, dando loro ciò che hai: quello che conta è tornare a casa col sorriso, ripensare per ore ai sorrisi che ti sono stati regalati, renderti conto che ti sei alzata alle 6.30 e sei arrivata a casa alle 10:30 e non eri stanca neppure un quarto di quando ti alzi alle 5.30 per andare in ospedale. Portare con te il ricordo di una giornata volata troppo in fretta, sapendo che per quelle ore non hai pensato a nulla se non a stare bene.

Loro non hanno deluso le tue aspettative: sono andate ben oltre quello che ti saresti attesa.  Hanno abbattuto ogni scetticismo e ti sei sentita a casa. Già, a casa, con persone che vedevi per la prima volta nella tua vita. Basta questo a farti capire che ti sei sempre sbagliata e che ne valeva la pena.

Noi siamo quello che abbiamo da dare: il meglio che possiamo fare è cercare di donarci completamente. A volte è sufficiente, altre no: non possiamo cambiare questa realtà o forzare la confidenza. C’è un naturale ciclo delle emozioni anche dietro ad uno schermo: se lo rispetti puoi scoprire che anche internet ha i suoi perché.

giovedì 28 agosto 2014

Recensione: "Di Carne e Di Carta" di Mirya

Prima i link: il libro lo trovate in vendita su Amazon qui.
La pagina FB dell'autrice vi attende numerosi qui.
E, se vi siete persi recensione e Read along di Please Another Book, rimediate ed andate a recuperarli qui.


Io non ho mai scritto una vera recensione. In generale,  io faccio pena a scrivere recensioni: non sono brava a lasciarle a fanfiction e storie originali che leggo e sono ancora più negata quando si tratta di libri.
La ragione è tristemente banale e si compone di due elementi: prima di tutto la mia logorrea che non si sa concretizzare in una serie di asserzioni sensate e inerenti al libro, ma che si manifesta - come una patologia - sottoforma di deliri estasiati e ripetizioni. La seconda è che, essenzialmente, non so fare un’analisi del testo, ecco.

Perché faccio questo preambolo? Perché è bene che sappiate cosa vi aspetta. Mi scuso, ma una recensione a Di Carne e Di carta non la potevo non lasciare: l’ho deciso due mesi fa e lo dovevo a me stessa. Ho stabilito che avrei provato ad andare oltre il mio patetico limite e avrei provato a spiegare perché questo è un libro da leggere. Non aspettatevi riflessioni e considerazioni puntuali come in una vera recensione: per quelle vi rimando a tutto ciò che ogni ragazza della banda del Read Along ha scritto. Ma non cercherò di fingere di possedere il dono della sintesi (perché non so prioprio essere breve e non voglio illudervi)… Cercherò, però, di parlarvene senza spoilerare. Perché è terribile leggere commenti ad un libro in cui ti raccontano cosa leggerai.

Ma andiamo con ordine: perché questo libro di chiama “Di carne e di carta”? Per una ragione precisa e narrata nella storia dall’autrice, ma secondo me non solo. Chiara, la protagonista, ama la carta. La ama in modo così profondo da affidare a lei le sue speranze sulla carne.
Chiara è giovane, appassionata e completamente dedita alle parole scritte: la carta non sbaglia e tocca il cuore e l’anima come la carne non sa fare. Come gli uomini di carne non sanno fare. L’inchiostro su carta sa raccontare verità e sa spiegare l’essere umano in modo viscerale e onesto.

La carta non sbaglia. La carne sbaglia la maggior parte delle volte.

Leonardo è un uomo di carne. Leonardo è rigido e scientifico, controllato e inflessibile. Leonardo è un ricercatore, proprio come Chiara. Un assistente, per la precisione. Non tollera i sentimentalismi applicati alla carta. E, nello specifico, non sopporta l’approccio emotivo di Chiara allo studio della letteratura.

Io sono un’ex studentessa di Liceo Classico e, come tale, sono stata pennellata per anni con il sommo Dante. E per anni l’ho sopportato a malapena.
Alle 8 di mattina venivo martellata con il Purgatorio e l’unica cosa che riuscivo a pensare era: “Che tu sia maledetto, Alighieri. Che tu possa bruciare nelle fiamme del tuo stesso Inferno. Quello almeno mi piaceva.”… L’ho letto e vissuto come un logorroico omuncolo, piazzato su questa terra per avvelenare i miei mercoledì mattina. Perché il mercoledì alle 8 da me era l’ora della Divina Commedia.

Sono passati tanti anni da quei mercoledì che, nonostante il mio fenomenale professore di Italiano, non sono mai riusciti a farmi osservare Dante con occhio diverso e, solo ora, comprendo che di Dante non avevo capito niente. E confesso di averlo capito piano piano mentre ascoltavo Leonardo e Chiara parlarne.

Sì, lo so, sono digressioni inutili quelle che state leggendo, ma cercate di seguirmi per quello che è possibile.

Di Carne e Di carta non è un libro solo, sono tanti libri intrecciati in una singola storia: è un libro sull’amore, è vero, ma leggerlo solo con quel proposito è quanto di più riduzionistico si possa fare.
Quello di Mirya è un lavoro su tanti fronti di cui la storia d’amore è solo la rotaia madre che ci fa viaggiare dallo studio universitario in cui Chiara e Leonardo si incontrano, fino alle supposte evacuanti effervescenti. Non cercate di capire questa frase: non potrete farlo finché non avrete letto il libro.
Di carne e carta è un libro sulle donne: sul cuore diverso che ognuna porta nel petto, sulla passione che le nutre e sull’idea dell’amore che le accompagna. Sulle fantasie perfette che leggiamo sulla carta e sulle delusioni costanti che la carne ci propina.

È un libro sul lavoro e sulla fatica: Chiara è un’insegnate, come Alessandra, la sua amica più cara e figura chiave in tutta la storia. La sua ragione e il suo sostegno fedele. L’amica con cui condivide tutto: il vino, le parole e la musica. E il cuore, perché tutte avremmo bisogno di un’Alessandra: quella persona che accarezza le nostre debolezze e che condivide con noi le proprie, una donna frizzante e complicata, eppure così semplice nell’anima. Quella che ci parla con le canzoni e ci protegge con le unghie e con i denti. E che noi difendiamo e accudiamo come se fosse un parte preziosa di noi, proprio come fa Chiara.

Di carne e di carta è un’ode alla musica e una storia sul dolore che alcune persone devono tollerare e con cui sono costretti ad imparare a convivere.
È il racconto dell’impegno che richiedono i compromessi nei rapporti umani.
È un libro sugli errori e sulle geometrie, sui cerchi che, come Leonardo, non quadrano.
Sulle relazione e su cosa significa crescere come persone, perché siamo sempre bambini cocciuti, convinti di essere adulti e di avere ragione. È un libro che ti fa scoprire come la ragione è quasi sempre nel mezzo degli estremi. Nel mezzo delle passioni. Nel mezzo delle certezze.
Ed è un libro sui libri, sugli autori dei libri, su ciò che vive e pulsa sotto l’inchiostro e la carta.
È un racconto su così tante cose che non le so elencare tutte, ma non commettere l’errore di sentire solo la voce della storia romantica nelle parole di Mirya.
È anche un libro su Dante, però.

Chiara è un’insegnate di ruolo e una Dottoranda ed è per questo suo secondo impegno professionale che si scontra con Leonardo: uso la parola “scontra” non perché sbattono l’uno contro l’altro come Licia e Mirko in Kiss me Licia.
Tutto inizia con la tesi di Dottorato di Chiara… che, per una serie di eventi, viene affidata alle dita impietose e alla penna inarrestabile di Leonardo, appunto: l’assistente della docente che seguiva Chiara. La tesi è proprio su Dante, autore di cui Leonardo sa troppo ma, allo stesso tempo, niente. Come di tante altre cose, mi sento aggiungere. Se stesso compreso.

Questo è uno spoiler? Se lo è mi scuso, ma ho perso il filo di me stessa e non so fare un’analisi del testo. La mia recensione si sta rivelando più inutile del previsto.
Perché io non so usare le parole come Mirya, non so raccontare la carta come lei attraverso Chiara e, nel mio tentativo di spiegarvi perché dovreste leggere Di carne e di carta sto solo creando confusione senza dire nulla.

L’inizio del rapporto professionale tra i due protagonisti non è dei migliori: lui è uno stronzo (sensuale e testardo) e lei è emotiva e impulsiva. Sono ragione e passione che fanno un frontale e che si rottamano l’un l’altro e che, come sempre nella vita, rappresentano reciprocamente l’ostacolo per la serenità dell’altro. Chiara e Leonardo sono le due metà dell’approccio alla ricerca universitaria: il metodo scientifico Vs l’amore per la materia. È solo leggendo il libro che si può capire quanto questi due elementi siano entrambi essenziali per un buono studio accademico… e non solo. Lo sono (e lo si comprende pagina dopo pagina) anche per la vita stessa.
Se l’inizio è complicato, immaginatevi il resto! Lei è una forza della natura, che ci guida nell’anima di una donna piena di emozioni e che ama il suo lavoro, raccontandoci la scuola che abbiamo sempre conosciuto attraverso gli occhi di chi siede sulla cattedra e cerca ogni giorno di mostrare quanto imparare e conoscere possa essere meraviglioso.
Lui è un uomo che sembra incomprensibile e che passa buona parte del suo tempo a combattere invisibili e estenuanti lotte. Con che cosa non ve lo posso raccontare, ma sentirete la fatica di queste guerre osservandolo insieme a Chiara dall’inizio alla fine.

E, se sceglierete di leggere quest’avventura a TuttoTondo (e qui uso la mia parola preferita - storpiata da me con le due T maiuscole - perché di tondi se ne parla in continuazione in riferimento a Leonardo e perché c’è davvero di tutto!), verrete guidati nell’uso melodico che Mirya sa fare delle parole per scoprire che anche alcuni romanzi d’amore possono portarvi a riflettere su mille altre cose, che la carta narra dell’imperfezione della carne e che, attraverso la carne, ogni tanto vediamo che - FORSE - neanche la carta regge il confronto. E anche le storie romantiche possono insegnarvi ad amare allo stesso modo la carne e la carta. Persino Dante.


Alla fine di tutto ciò posso solo aggiungere: non fatevi sviare dalle mie parole che non sanno spiegare nulla. LEGGETE QUESTO LIBRO e amatelo.
Quando l'ho letto su EFP la prima volta sono stata terribilmente superficiale e mi sono limitata a divorare con voracità i dettagli romantici, senza ascoltare davvero la voce di Mirya: la seconda lettura (avvenuta in occasione del RA dopo la pubblicazione dell'ebook) mi ha permesso di scoprire che questo è un libro a colori (le sfumature le lascio altrove... tanto qui quella parola non sarebbe sufficiente) e di imparare. Quando un libro lascia davvero il segno lo capisci perché ti ha insegnato qualcosa attraverso i suoi personaggi. Leggetelo con attenzione e saprete davvero chi sono Chiara e Leonardo e cosa vuol dire parlare della carta e della carta. E dall'amore. E della vita.
E, Mirya, perdonami: se perderai lettori per colpa mia, ti rimborserò con del vino. Un cartone di  "La moglie ubriaca”.

domenica 15 giugno 2014

"Di carne e Di carta" di Mirya su Amazon


"Di carne e di carta" di Mirya su Amazon.

Dunque, questa è una novità per me: è la prima volta che scrivo un post per consigliare un libro, eppure non potevo non farlo. 

Che bazzica su EFP nella sezione romantico non può non aver sentito nominare questa storia: io stessa, che sono risaputamente una che non sa mai nulla di EFP, l'ho conosciuta e letta su consiglio della mia Beta tempo fa (in ritardo rispetto alla mia permanenza). 

Ora, perché vi dico questo? Perché se avete letto e amato quella storia, da oggi avete la possibilità di avere sul vostro ereader la versione rivisitata da Mirya e pubblicata su Amazon. 

Non sono brava con le presentazioni: fallisco in continuazione quando tento di pubblicizzare e presentare la mia stessa storia, per cui non aspettatevi nulla di decente neanche in questo caso... Anche se ci terrei molto di più a presentare per bene questo libro. 

Già, perché da oggi "Di carne e Di carta" è davvero un libro: non più una fanfiction originale, non più solo un racconto online, non è più solo una storia amatoriale... È un libro, con tanto di copertina e sinossi. Ecco, forse se comincio a presentarvela dalla sinossi faccio qualcosa di buono:

"Chiara vive di carta. Insegna, studia e legge di tutto. Sui libri e coi libri è cresciuta, i libri sono stati la sua famiglia e i suoi migliori amici e dai libri ha appreso l’amore: l’amore per le pagine ma anche per gli uomini che in quelle pagine vivono.
Leonardo entra nella sua vita per seguirla nel Dottorato di ricerca, ed è un uomo concentrato sulla realtà di carne: per lui il distacco dalle parole scritte è vitale e non accetta l’approccio passionale di Chiara. Ma è stato davvero un caso, a portarlo da lei, o c’è una trama anche dietro al loro incontro?
Tra un canto di Dante e una canzone degli ABBA si combatte la guerra tra la carne e la carta, una guerra che non ha vincitori né perdenti e che forse non ha nemmeno schieramenti."


 
Perché leggerla? Perché Leonardo vi polverizzerà le mutande e a tratti vi spingerà a cospargerlo con le ceneri delle suddette mutande in segno di disapprovazione. Perché è una storia che vi farà fare nottata (è passato tanto da quando l'ho letta, ma ricordo che mi sono fatta la classica lettura "tutta d'un fiato"). Perché è scritta benissimo e perché è un'occasione d'oro per esplorare questa carta e questa carne. 


E perché per leggerla vi servirà la musica: aprire la copertina sarà come posare la testina del giradischi sull'album degli ABBA, lasciare che la puntina scorra e canti per voi. 

La musica sarà con voi, con Chiara e con Leonardo dall'inizio alla fine: vi racconterà quello che sentirete voi, vi anticiperà le verità tra le parole e vi cullerà, dando forma e consistenza ad ogni capitolo, accompagnandovi in questo viaggio. 
Nel viaggio che esplora la perfezione della carta e la confronta con quella così imprecisa, così deludente della carne: quella carne che, però, sa far innamorare, fa soffrire, fa arrabbiare, fa sorridere e insinua conflitti nel cuore. Un viaggio in cui Mirya vi guida con passione, attenzione, cura, fantasia e amore, usando le parole come solo chi adora la scrittura sa fare. E come solo chi sa davvero scrivere riesce.

Carne o Carta? Cosa sceglierete? Cosa sceglierà Chiara? Cosa scegliere la vita? Leggete e lo scoprirete.

Ci sono un po' di precisazioni da fare: la prima viene direttamente dalla voce dell'autrice, per cui vi rimando al suo Blog per le informazioni specifiche sul prezzo e su Amazon. Qui troverete tutto quello che c'è da sapere. 


Verità numero due: sia che l'abbiate già letta o meno, in occasione della pubblicazione c'è una meravigliosa avventura. Please another Book organizza il Read Along di "Di carne e di carta". Un momento di condivisione che in questi mesi mi ha dato tantissimo e che vi consiglio di non lasciarvi scappare.

Il blog lo trovate a questo indirizzo e credo che a breve verrà pubblicato il post specifico con le informazioni sul Read Along. Se ancora non seguite questa blogger, vi invito a farlo subitissimo sia sul blog che sulla sua pagina facebook.

In tutto questo, siccome io non sono pratica di queste cose, mi limiterò a darvi un consiglio su qualcosa che conosco, su indicazione delle parole stesse dell'autrice che troverete nel libro: la musica.

Già, procuratevi la colonna sonora e lasciate che vi accarezzi il cuore mentre le parole che leggerete vi accarezzarenno gli occhi e l'anima.

Iniziate con "Thank you for the music" 




e concludete con "Super Trouper"






Io vi ho messo la versione originale, ma voi scegliete quelle che più vi aggradano... La musica fa sempre bene, anche cantata da una voce e da un cuore diverso da quello originale, purché sia cantata con l'anima. Se preferite le versioni di Mamma Mia!, usate la soundtrack di quel film: molte delle canzoni le troverete citate nel libro. 

Ecco, come al solito mi sono dilungata e avrò scordato metà delle cose importanti da dire ma, se mi avete letto qualche volta, ormai ci sarete abituati.

Auguro a tutti una meravigliosa lettura e spero di trovarvi al Read Along!

NB: Okay, faccio un'aggiunta di me stessa perché quella cover l'ho fatta solo per l'autrice e per questo giorno... Se vi volete fare del male, qui trovate la sottoscritta che canta Super Trouper.

Super Trouper acoustic Cover


venerdì 13 giugno 2014

What's going on? Qualche notizia di "scrittura": TuttoTondo e altro.

Partiamo con un bel link a questo capolavoro musicale:

"What's up?" delle favolose 4 Non Blondes... Sempre perché la musica degli anni '80 è ancora tra le top 4... Per me la musica dopo gli anni '90 ha smesso di essere davvero magica. Ma sono dettagli inutili.






What's going on? Che succede? A che punto siamo? Oggi a un punto morto su tanti fronti, ma siccome mi rendo conto che non tutti sono nel mio gruppo e non tutti sanno le ragioni dei miei aggiornamenti lenti (alcune delle ragioni), facciamo un bel post riassuntivo con gli spoiler che ho postato nel gruppo e qualche notizia.

Sto scrivendo. Sì, molto poco e con la velocità di un bradipo, ma quando posso ritagliarmi 20 minuti mi dedico alla scrittura almeno un po'.
Purtroppo per me e per chi legge la mia storia, io sono in un periodo infernale, noto ai più come "l'ultima sessione d'esame + tirocinio + tesi", il che significa che faccio fatica anche a trovare il tempo per occuparmi delle mie questioni private (ad esempio: il mio pc fisso è abbandonato a se stesso, inchiodato da non so che problemi da una decina di giorni sulla mia scrivania... e lì rimarrà, perché io non ho tempo di portarlo in assistenza). Questo lo scrivo per chi mi ha chiesto aggiornamenti più rapidi, settimanali e frequenti: se leggete la mia storia sapete che produco capitoli eccessivamente lunghi e questo richiede tanto tempo e tanta fatica. Tempo che, al momento, non posseggo. 

Mi piacerebbe moltissimo poter pubblicare un nuovo capitolo ogni settimana e se fossi capace di scrivere capitoli di qualche pagina, sarebbe fattibile (anche se, in ogni caso, dovrei riuscire ad incastrarmi con la Beta e in queste settimane riusciamo a malapena a sentirci via telefono perché abbiamo entrambe un periodo di fuoco). Purtroppo non è così e, soprattutto, nel limite delle mie ristrettissime possibilità, io cerco sempre di mettere online capitoli che mi soddisfino e che siano scritti almeno decentemente (per quello che io, con le mie enormi mancanze, riesco a fare).

Per cui, con mio enorme rammarico, mi trovo di nuovo a dover sottolineare che gli aggiornamenti saranno lenti e sporadici: non lo faccio per dispetto e non biasimo chi, a fronte di ciò, abbandona la lettura di TuttoTondo.
Gli obblighi e i doveri della vita vera hanno la precedenza su ogni mia passione e non può essere diversamente: faccio il possibile, ma scrivere è un passatempo che mi viene in modo mediocre anche quando sono del tutto concentrata su quello, figuriamoci quando sono in un periodo come questo. 

Ripeto, se sceglierete di non leggere più, capisco benissimo. A chi, invece, decidere di rimanere, va la mia immensa gratitudine e il mio più profondo affetto e rispetto. Mi scuso davvero con tutti.

Detto ciò, tolto il dente dolente, faccio un piccolo sunto degli spoiler disponibili.

Spoiler 1 TuttoTondo:

"Gli occhi duri e la voce bassa:
“Ti ricordo che la spesa la facciamo insieme.”
“Sì, ma…”
“Smettila, Med.” il suo tono di rimprovero non lascia spazio al mio tentativo di cambiare argomento. Alex sposta improvvisamente l’attenzione lontano da me e si dirige verso la mia camera.
"Dov'è?"
Sospiro mortificata e lo seguo.
"Vicino al letto."
"L'hai aperta?"
"No."
Da quel momento scelgo la mia linea di difesa: il silenzio. Parlerò solo in presenza del mio avvocato, chiedendo la non imputabilità.

Lui sembra dimenticarsi di me, precipitandosi nella mia stanza e ignorandomi del tutto."


Spoiler 2 TuttoTondo:

"Ci sono due momenti drammatici in una relazione che non dovrebbero mai avere luogo troppo presto: presentare tuo fratello al tuo partner e incontrare due membri della famiglia di quest’ultimo dopo aver fatto tre rampe di scale di corsa.
L’evento si trasforma in tragedia se uno di questi due è un bambino di sette anni con gli occhi tendenti al grigio, lo sguardo da inquisitore spagnolo e i capelli biondo scuro - che lo fanno somigliare troppo al tuo ragazzo.
Cosa fai quando entri in casa con tuo fratello (che si è auto.invitato a pranzo) e trovi il tuo coinquilino/compagno seduto al tavolo della cucina, con un gran pezzo di figo che non hai mai visto e il sopracitato bambino sulle ginocchia, che decora ad arte (pessima) una cosa simile ad una cheesecake?
Come agisci quando il tuo ragazzo ammicca col suo bel faccino da Americano e afferma:
“Med, questi sono Adam e Andie, mio fratello e suo figlio.”?
Qual è la mossa matura quando tre paia di occhi da Pokemon (che ora capisci essere un problema genetico) di gradazioni diverse si piazzano sulla tua faccia sudata e paonazza?

Fai come me: ti nascondi in bagno."


Ricordo che "L'imbarazzante piacere del TuttoTondo" è disponibile online su efp qui.


Uno spoilerino di qualcosa che ho in scrittura da un po': il seguito di Data di scadenza.

“Monica!” la voce di Tessa arriva nervosa e intrisa di panico ancora prima che la porta si chiuda alle sue spalle: tutti gli ospiti sono in posizione, silenziosi e sorridenti.
“Monica, dove cazzo sei?” il rumore delle chiavi che sbattono sul tavolino d’entrata rimbomba nel silenzio della casa, “Quella inetta della mia estetista ha fatto un disastro!”


“Non puoi capire: le ho chiaramente detto di farmi una normale brasiliana. Non mi sembra così complicato, no?” i passi di Tessa si avvicinano pericolosamente al salotto colmo di amici che ascoltano attenti le sue parole.
Monica sente un brivido attraversarle lo stomaco quando la sua coinquilina non sembra intenzionata a farmarsi: “E invece no! Monica, me l’ha sbarbata a metà! Ho mezza topina disboscata e mezza no! Ora come cazzo faccio? Io domani sera la volevo dare a Lorenzo!”


 
E, ultimo ma non ultimo, qualcosa che ho in cantiere da una vita, che ha subito qualche modifica e che è nato per una disavventura di una delle TuttoTondine con un vicino di casa: Andy e Drew... evito di mettere lo spoiler, viste le spiacevoli disavventure che sembrano accadere a chi agisce in modo stupido, ma volevo far sapere alla suddetta TuttoTondina che quella storia c'è, esiste ed è viva e in divenire nel mio computer.

Eventualmente, se qualcuno sarà interessato, metterò lo spoiler in privato su FB su richiesta e/o nel gruppo.

Credo di aver finito. Soprattutto ho finito la mia unica pausa studio del pomeriggio.
Abbandono la nave ringraziando le persone che ancora mi leggono, baciando con la lingua quelli che ancora hanno voglia di lasciare un commento agli sporadici capitoli che arrivano: senza i vostri incoraggiamenti credo che avrei desistito da tempo. Un grazie di cuore a chi c'è stato in passato, ha letto le mie storie anche se, giustamente, ha abbandonato. Avete comunque la mia gratitudine più sincera.




venerdì 6 giugno 2014

Dal timore della Lemon al "Pan per focaccia"



Partirò con qualche domanda per chi si cimenta nella scrittura: che cosa vi spaventa scrivere? Che scene vi creano più problemi? Vi siete mai trovati di fronte ad un passaggio che non potevate evitare e che vi siete sforzati di creare?

Scribacchiare non è affatto facile. Soprattutto scribacchiare qualcosa che soddisfi noi stessi.




So che non sono l'unica ad aver risposto in continuazione alla propria Beta "No, non ce la faccio a scrivere il po-porno"... Giusto? O solo io ho avuto per anni la certezza che non avrei mai descritto un momento di intimità?
C'è una cosa da premettere: non è la scena intima in sé ad inibirmi (certo, se ci sono troppi dettagli io rido e mi imbarazzo), ma sono i termini che hanno sempre funzionato come repellente: nominare gli organi sessuali, per intenderci... cose così.
Ecco, quando ho capito che questi nuovi Med e Alex erano più sfacciati della vecchia versione, mi sono dovuta arrendere al fatto che loro non avrebbero fatto sesso sul letto con violini e al ritmo dell'ammmore. Questi due erano più pretenziosi e ciò richiedeva che io mi depuritanizzassi e mi decidessi a dare loro un prima volta che li rappresentasse. Quindi che andassi oltre il mio limite e il mio tabù e che parlassi di sesso. Mai scritto. Letto forse due volte. Come si racconta il sesso? Mica è facile capire come fare... A me mancavano le basi e il mio blocco mi impediva di sopperire documentandomi (leggendo libri con scene intime o facendo i compiti che la Beta mi dava... tipo... "Scrivi una scena di solo sesso." ... Mi ha dato questo compito più volte e io non l'ho MAI svolto. Meriterei un 2.)... prima o poi però 'sta scena la dovevo raccontare.
Benedetta la mia Beta, perché senza i suoi incoraggiamenti a "dire di più", la scena del bancone sarebbe molto meno vivida. Fatto sta che ora, riguardando TuttoTondo, mi rendo conto che quella che era la scena che meno volevo nella mia storia e che pensavo mi sarebbe venuta peggio, è uno dei passaggi che più mi piacciono e che mi ricordano chi sono Alex e Med (sì, ogni tanto mi perdo e quando mi metto a scrivere mi devo rinfrescare la memoria).


Tutto questo per dire che, a volte, le cose che ci fanno più paura sono quelle che ci danno maggiore soddisfazione. Certo, non è detto che i risultati siano buoni o che eccelsi: probabilmente, se comparati con i risultati di chi quella cosa la sa fare, saranno mediocri... magari anche qualcosa di meno, però la soddisfazione di aver fatto qualcosa fuori dalla nostra "comfort zone" è piacevole.

Nel mio caso rileggere questa scena è più piacevole che rivedere quelle comiche o introspettive, perché quelle sono DECISAMENTE all'interno della mia comfort zone.
Questa mattina l'ho riletta bevendo il caffé e, lo ammetto, quando leggo a me vengono seri subbi sul fatto che quelle cose possa averle scritte io. Anyway, visto che c'è e che un po' mi inorgoglisce, prima di rimettermi sui libri ne faccio una nota. Così. Perché stamattina mi va di averla anche qui.

 

Dal capitolo "Pan per focaccia" de "L'imbarazzante piacere di TuttoTondo"
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1799977

“Vieni qui...” sussurro e lui obbedisce, costringendomi a voltarmi finché la mia schiena non è premuta contro il bordo del ripiano in marmo.

Poi, senza parlare, i suoi occhi mi sorridono. Con le mani mi avvolge il viso, posando la fronte sulla mia e inspirando piano: restiamo così per qualche minuto, guardandoci senza parlare e nel silenzio posso sentire il mio sangue che comincia a pulsare forte e veloce.
Non so che cosa stia aspettando di preciso, ma il calore del suo corpo contro il mio e l’intensità dei suoi occhi diventano l’unica cosa di cui sono consapevole: cingendogli la vita lo avvicino quanto più possibile a me.

“Aleman, che stai aspettando?”

Il sorriso più furbo che gli abbia mai visto fare si anima sulla sua bocca: poi le sue dita premono in modo impercettibile sulla mia pelle. Seguendo i suoi gesti, lascio che le mie labbra si posino sulle sue, chiudendo ogni ricordo di oggi fuori dalla mia mente e lasciando che il mio corpo senta solo Alex.
Più che decisa a godermi ogni secondo con lui, incurante della possibilità che le mie mani siano gelide, muovo le dita contro la sua maglia, alzandola per andare ad accarezzare loro: i muscoletti.
Lui rabbrividisce in modo evidente e spezza per un attimo il bacio, tenendo gli occhi chiusi e facendo scivolare un pollice sulla mia bocca.

Dio, ma come fa a essere così fottutamente sensuale pure mentre sono io che dirigo i giochi?
Io non sono mai stata dotata di grande spirito di iniziativa, ma in questo momento non riesco a pensare in modo razionale e lascio che le mie mani facciano ciò che vogliono.
Con le palpebre ancora chiuse Alex ridacchia della sua stessa reazione e sposta le mani sulla mia vita, invitandomi a saltare con tutta la mia grazia sul bancone della cucina: poi, senza tanti convenevoli, abbassa il viso fino al mio ventre, solleva l’estremità del mio vestito e lascia cadere un’infinità di baci sulla mia pelle, mentre nella sua risalita verso il mio viso porta con sé la stoffa da cui, una volta ritrovate le mie labbra, mi libera definitivamente.

Nel panico più totale per l’esposizione del mio corpo ai suoi occhi alla luce della cucina, mi stacco da lui per allungarmi verso l’interruttore alle mie spalle, ma Alex mi ferma, riportando il mio corpo contro il suo e sussurrandomi:
“Falla finita.”

Certo, logico che lui voglia mostrare tutto il suo corpicino asciutto con orgoglio, ma io credo che sarebbe molto più facile abbandonarmi alla situazione se non mi dovessi preoccupare di ogni piega di ciccia che lui vede.

“Fammela spegnere...”
“No, non ce n’è ragione.”
“Ma...”
“Niente ma, Scintilla. Non pensare. Baciami e non pensare.” mormora con una voce lieve come la distanza tra le nostre labbra e l’effetto di Alex su di me corre lungo ogni sinapsi del mio cervello.
Stringo le braccia attorno alle sue spalle e lascio che ricominci a baciarmi con ritrovato entusiasmo, mentre i suoi sorrisi si scontrano con i miei e il suo respiro torna a farsi appena un po’ più accelerato.

Oh, ‘sti cazzi! Tanto anche se non vedesse, la ciccia la sentirebbe comunque. Facendo questa considerazione, però, mi ricordo di eventi poco piacevoli durante la mia intimità con L e decido che con Alex non voglio provare nessuna forma di disagio.

“Alex, una regola...”
Lui sembra ignorarmi, continuando imperterrito a far scivolare le dita sulla mia pelle.
“Alex!”
“Mmh?” il suo è un mugolio appena accennato e che mostra debolmente la sua frustrazione per la mia cocciutaggine.
“Mi ascolti?”
Ma sono abbastanza convinta che l’unica cosa che sta ascoltando sia il pulsare del suo sangue che, dalla periferia, sta emigrando con grande gioia verso sud. Il che mi va benissimo ma, visto che l’aria si sta riscaldando e che la nonna sembra aver deposto l’ascia di guerra contro il mio accoppiamento, sento un’improvvisa necessità di porre un veto.

Quando la mia intimità era condivisa con L si verificava matematicamente un evento alquanto spiacevole per la sottoscritta: la strizzatura. Non è una pratica sadomaso, né un gioco di ruolo; è qualcosa che, per le ragazze in carne, ha una connotazione umiliante. È qualcosa che, quando vanti un più o meno prominente salvagente di adipe, temi con ogni tua molecola.

Qualcosa che, però, sembra essere inevitabile quando fai sesso.
La strizzatura si traduce in quell’insopportabile gesto che loro compiono ogni volta che incontrano una piega di ciccia: la afferrano e la strizzano.
La stringono con passione, come se potesse essere anche solo lontanamente sensuale, come se da questo stritolamento tu dovessi trarne giovamento e avvicinarti più velocemente all’orgasmo: ecco, non è così. Ha esattamente l’effetto opposto: d’improvviso perdi il focus, ti dimentichi che stai correndo verso la meta e il tuo touch down rischia di diventare solo un miraggio. Diventi improvvisamente conscia di quei manigliotti a cui lui si regge e, invece di focalizzarti sul tuo piacere, cominci a fare una stima possibile della misura in centimetri del grasso che tiene tra le dita e cominci a chiederti se, in realtà, anche lui stia cercando di soppesarne la mole. O se si stia chiedendo come avevi fatto a nascondere quell’abbondante cuscinetto fino a quel momento.

L lo faceva sempre. Ogni benedetta volta. Come se avessi bisogno di un promemoria di dove si trova distribuito il mio sovrappeso.
Mentre Alex, assolutamente disinteressato a quello che io ho da dire, accompagna le mie mani sul bordo della sua maglia e mi aiuta a levargliela, io penso ad un’unica cosa. Non voglio sentirmi umiliata e non voglio sentirmi insicura. Voglio sentirmi bene con lui e voglio sentirmi una donna di serie A, almeno questa volta.

I suoi baci sulla mia pelle si fanno più rapidi quando, con un movimento del bacino, separa le mie ginocchia e ci si intrufola in mezzo con frenesia, ricordandomi che l’universo è contro di noi e, se non colgo l’attimo, rischio di andare di nuovo in bianco.
“Alex, stammi a sentire...”
“Parla!” la sua voce è quasi spazientita e le sue dita intrappolano il mio viso nella sua stretta per guidare la mia bocca dritta contro la sua, lasciando cadere baci prepotenti e frettolosi.
“Non si afferra.”

Lui si blocca per un secondo e quei suoi occhietti blu si fanno grandi e confusi:
“Che cosa?”
“Non si impugna niente. È questa la regola.” bisbiglio stringendo le mani attorno ai suoi polsi per poi accarezzarli piano; lui si lecca lievemente le labbra con aria riflessiva, inclina il capo e poi chiede:
“Che cazzo vuoi dire?”
“Non voglio che, mentre sei tutto annebbiato dalla tua mascolinità, ti metti ad afferrare parti di me a caso...” provo a spiegare sopprimendo una risata di fronte al panico che sfreccia per un attimo nel suo sguardo e capisco che non posso trovare un modo di spiegargli cosa non voglio senza suonare patetica e insicura e senza portare la sua attenzione proprio sui miei problematici accumuli lipidici.

“Non ho capito...” confessa infatti studiandomi con aria disorientata: “Potrò afferrare qualcosa spero...”
“No...”
“Neanche le tette?”
“Non chiamarle tette!”
“Come le devo chiamare... boobs?”
“Alex...”
“Posso o no?”
“D’accordo, diciamo che non puoi aggrapparti all’adipe ma che ammetto eccezioni...”
“Mi sembra un buon compromesso...” poi sembra scegliere di non approfondire cosa lui non potrebbe fare ma di concentrarsi su altro:
“Tu puoi afferrare, vero?” ridacchia speranzoso, gioendo quando annuisco.

Allenta per un attimo presa sulla mia vita e si allontana di qualche passo, salta sul bancone accanto a me, levandosi le scarpe, e porta una gamba dall’altro lato del bancone.
Mi tira a sé con un gesto deciso, fino a che il mio fianco non si scontra col suo corpo: basta una lieve pressione per riattivare ogni singolo ormone nel mio corpo e farmi sorridere soddisfatta alla constatazione dell’effetto che io, proprio io, stavo avendo su di lui.
La sua bocca è nuovamente premuta contro la mia in un bacio che diventa velocemente molto più forte, pretenzioso e irregolare: più le sue labbra sembrano non controllarsi contro le mie, più il mio istinto di strapparmi i leggings si fa prepotente.

Rispondo ai suoi tocchi smettendo di pensare e sentendo solo il sapore delle sue labbra contro la mia lingua e, per non so dire quanto, l’unica cosa che i miei sensi percepiscono è Alex.
Poi, ammiccando contro la mia bocca, le sue mani premono contro il mio corpo, sulle mie spalle, e pochi secondi più tardi, mi ritrovo sdraiata sul bancone della nostra cucina con il mio coinquilino che come un gatto si sta allungando sopra di me, lasciando baci illegali lungo la strada. Spinge le mie ginocchia lontane l’una dall’altra, distendendosi completamente sopra di me con quel sorrisino compiaciuto che è ormai un marchio di fabbrica. E, dopo un brevissimo momento di stallo, capisco.

Sto per fare sesso sul bancone della mia cucina. E la cosa mi inorgoglisce schifosamente.
L’ho sempre voluto fare su questo maledetto bancone, ma mi bloccava il pensiero che ci faccio colazione sopra. E l’iniziativa più ardita di L è stata di propormi con insistenza la doccia come setting alternativo.

Ma Alex non me l’ha proposto: Alex non me l’ha chiesto. Lui mi ha invitato a farlo, senza parole, solo con le carezze. E il mio corpo ha risposto a quelle: il mio corpo è assolutamente d’accordo. Mentre la sua bocca si sposta dalla mia per scendere verso le spalle, però, sembra avere un’illuminazione: si ferma, si mette in ginocchio - donandomi la visione del suo appetitoso petto nudo - e mi sfiora l’ombelico.

“Dammi il tuo telefono.”
“Perché?!”
“Fallo e basta, Sofia!”
C'è una punta di autorità nella sua risata che mi porta ad obbedire. Sbuffando, mi ritrovo ad arrotarmi sul fianco in un movimento agile quanto un ippopotamo: infilo la mano nella borsa appesa alla sedia, recupero il mio cellulare e glielo passo.

Lui sorride come se gli avessi appena regalato un pacco di orsetti gommosi e, posando gli occhi sui miei, lo spegne. Poi fa lo stesso col suo.
Lo osservo con curiosità perché non capisco tutta questa fretta di disconnettere i nostri telefoni ma, quando lo vedo scendere dal bancone e staccare prima il telefono di casa e poi il ricevitore del citofono, capisco.

“Basta interruzioni. Ora si fa come dico io.”

E torna a sdraiarsi su di me, riprendendo da dove ci eravamo fermati.
Le mie dita impazienti si fanno strada sul suo corpo, fino a trovare il bottone dei jeans. Quando lo faccio saltare abbassando poi piano la zip, faccio scorrere le dita sul cotone che si scopre, accarezzando Alex attraverso il tessuto: al mio tocco lo sento smettere di respirare e soffiare contro il mio collo qualche cosa in inglese che non riesco a capire, ma che mi fa sentire in paradiso.

I minuti passano, scanditi solo dalle carezze e dal sangue che mi pulsa insistente contro le tempie, fino a che lui non sussurra il mio nome, spezzando il bacio e premendo lentamente un dito contro le mie labbra.
“Med...”
Poi comincia a ridere con il viso nascosto contro la mia spalla e reggendo il suo peso sui gomiti.

Che cosa c’è di divertente?

La sua risata, prima silenziosa e lieve, si fa piano piano più forte, meno controllata e vibra contro la mia carne: cosa cazzo ha da ridere come un cretino?
Io sono qui, seminuda, eccitata come un cammello e convinta di aver dato fino ad ora il meglio di me, e lui sembra avere un attacco respiratorio, tanto si sta divertendo.

“Cosa c’è? Che ho fatto?!”
In un primo momento lui non mi risponde e io, stizzita, gli tiro piano i capelli, pretendendo una risposta: solleva il viso e non sembra riuscire a smettere di sghignazzare. Ha persino le lacrime agli occhi.
“Alex...”
Fa uno sforzo sovrumano per spegnere lentamente la sua risata e poi fa schioccare le labbra sulle mie, inspirando dal naso.
“Cosa è successo?”

“Ho un problema...” ridacchia accarezzandomi un orecchio e continuando a divertirsi come un matto.
“Che problema? Che c’è?”
Lui resta zitto per un po’, cercando di sopprimere l’ennesimo ghigno, per poi confessare:
“Ho l’ansia da prestazione.”

È uno scherzo? Mi sta prendendo per il culo? È stato un mandrillo con l’ormone volante fino a ieri e ora che stiamo per battere chiodo, mi dice che gli si è rotto l’impianto idraulico?

“Stai facendo cilecca adesso?!”
“Non sto facendo cilecca... Oddio, magari sì...” e riprende a iperventilare per il divertimento.
“Alex, non è divertente!”
“È esilarante! Mi sono vantato come un coglione di fare magie sotto le lenzuola e poi mi viene l’ansia da prestazione."

Adesso: so che le donne dovrebbero mostrarsi comprensive e affettuose in queste situazioni, ma io voglio il mio sesso. E lo voglio ora!

“Senti, fatti una camomilla perché questa è l’ultima volta che ci proviamo: se non vai in buca oggi, io rinuncio!”
Mi metto a sedere, costringendolo a seguire i miei movimenti e non riuscendo a controllare il broncio sul mio viso, cosa che lui trova esilarante.
“Non sei per nulla comprensiva...”
“Se mi dici che non ti funziona perché tieni troppo a me, giuro che te lo rompo del tutto.” biascico schivando la sua mano che cerca di catturare il mio viso e sbuffando.

So che sto facendo i capricci, ma non è che questo evento aiuti la mia autostima!

“Non ho detto che non mi funziona! Ho detto che ho l’ansia...”
“Ma di che cosa?! Anche la tua peggior prestazione otterrebbe un punteggio altissimo rispetto a quello a cui sono abituata!” mi lagno facendolo ridere di nuovo.

Non è che bisogna essere dei re del porno per fare meglio di L.
Alex si muove con agilità, scendendo dal bancone e portandosi di fronte a me per riprendere a baciarmi, nonostante le mie proteste.
E lo fa fottutamente bene, il che rende la sua ansia da prestazione ancora più ridicola.

Con i suoi baci riprendo a rilassarmi e le mie braccia si muovono fino a trovare le sue spalle.
“Ti prego, dimmi che ti stai rianimando...”
Alex sghignazza ancora una volta e ricambia il mio abbraccio, annuendo piano: sento le sue dita sulla mia schiena e, pochi secondi dopo mi accorgo che ha fatto saltare il gancetto del reggiseno.

Sopprimo l’ennesimo sussulto di panico che si fa strada dentro di me per il timore che le mie tette siano, in realtà, più cadenti di quello che mi ricordo:
“Andiamo in camera.”
“No.” protesto stizzita, premendo il mio petto nudo contro Alex per cercare di nascondere alla sua vista i difetti del mio corpo. “Io lo voglio fare qui."

La cucina è perfetta per noi. Riflette chi siamo e cosa amiamo; è il nostro terreno comune. È il luogo in cui siamo entrambi a casa ed è quello in cui sento di aver visto più di Alex.
Non c’era un posto più azzeccato per la nostra prima - e spero non ultima - volta.

Mi sussurra di non muovermi e promette di tornare subito prima di zompettare come un grillo verso camera sua, suppongo a caccia di precauzioni.
Pochi secondi dopo è di nuovo tra le mie braccia, sghignazzando come un cretino e baciandomi come se fossi la cosa più gustosa del mondo, mentre sale per l’ennesima volta su di me e, nel processo, si sbarazza anche degli ultimi indumenti che ci separavano.

Non ho il tempo di imbarazzarmi e non ho modo di far scorrere gli occhi su di lui perché, con due baci, ho di nuovo perso la capacità di concentrarmi: non so più se il tempo attorno a noi si è fermato o no ma, tra una carezza e un sospiro, mi trovo ancora con la schiena premuta sul marmo gelido e il calore di Alex su di me.

God, I want you so bad...” sussurra contro le mie labbra e le sue parole spengono l’ossigeno nei miei polmoni.

Lui vuole me. Vuole davvero me, non il sollievo che un po’ di squallido sesso può dargli. Vuole me, con la mia orribile personalità e i miei chili in eccesso.
Non mi ero mai sentita desiderata così, con tutta l’emozione che sento nella sua voce e con l’attenzione con cui le sue mani sfiorano la mia pelle. E questa consapevolezza mi fa agitare come se fosse la mia prima volta.

All’improvviso mi sento di nuovo insicura e la paura di non essere all’altezza si fa più reale quando il suo corpo si fonde con il mio: è un movimento lieve, gentile e delicato. Si muove lentamente, lasciando che la pelle dei suoi fianchi sfiori molecola dopo molecola l’interno delle mie cosce e il solletico del suo corpo sul mio diventa una dolorosa attesa che precede il disciogliersi di un calore che non so raccontare: così dolce, così scivoloso, così completo che sento ogni frammento della mia pelle rispondere a lui.
Una delle sue mani si sposta sul mio bacino, accompagnandolo verso il suo e nello stesso momento lo sento lasciare scorrere piano il ventre contro la mia carne, succhiando le mie labbra allo stesso ritmo con cui i suoi fianchi trovano i miei.

È una percezione così intensa che la scopro diffondersi dall’epidermide fino a dentro, la assaporo sulla lingua, la avverto assordante nelle orecchie e involontariamente, mi irrigidisco: allora Alex si ferma, baciandomi piano e accarezzandomi il collo con le labbra, conscio del mio improvviso nervosismo.

“Tutto okay?”
Sono più che okay. Sono incredula, suppongo.

Un cenno della testa sembra rassicurarlo e lentamente ogni cosa attorno a me diviene inconsistente, ovattata: ci sono solo Alex e i nostri movimenti lenti.
All’inizio sento le mie mani che tremano mentre gli accarezzo la schiena: i miei polpastrelli si nascondono tra i capelli morbidi che sembrano raccontare le sue reazioni a me. Mentre li sfioro e il suo respiro si spezza contro la mia gola, li sento alzarsi tra le falangi e li stringo con energia: una delle mie mani si muove involontariamente lungo il suo collo, seguendo il contorno della sua mandibola per arrivare ad accarezzargli la guancia calda e tesa. Quando scorro l’indice sul suo zigomo, un sospiro sfugge dalle sue labbra e il mio nome esce appena accennato insieme al suo respiro.

Stringe delicatamente le dita contro la carne del mio ginocchio, violando la regola che avevo imposto, ma sapere che è il suo modo di chiamarmi sua mi rende più audace: affondo le unghie nella sua nuca, tremando ogni volta che un impercettibile freddo accarezza la mia pelle quando i suoi fianchi si allontano dai miei, per tornare a baciarli pochi attimi dopo.

Ed è di nuovo calore. È ancora morbidezza. È sempre più sapore.

Le mie unghie lambiscono ogni centimetro della sua schiena: è una discesa calma, energica. Affondo nella sua pelle, sentendola increspare appena e trascino le dita lungo il suo corpo, diventando più vigorosa quando incontro una delle scapole e recuperando delicatezza sull’incavo appena prima del bacino. Lì mi fermo più a lungo per accompagnare il suo movimento contro di me.
Poi torno a esplorarlo piano, rallentando fino a trovare la curva tornita dopo i suoi fianchi, stringendo i polpastrelli attorno alla sua carne: faccio pressione invitandolo a trovare di nuovo una sintonia più profonda con me e ottenendo in regalo un bacio violento.

Il marmo è freddo e scomodo e per un secondo dubito di riuscire a seguire i suoi movimenti: ma le mie preoccupazioni si fanno polvere quando lo vedo ridere della nostra mancanza di sincronia e lo sento sussurrare di stare calma.
“Med, va tutto bene…”
“Sì, benissimo.”
“Perché sei così tesa?”
“Non lo so…” rispondo con onestà e le sue mani si spostano sul mio corpo con la stessa delicatezza con cui lui si muove con me, anche se le sue parole e le sue carezze non aiutano molto a farmi calmare.

Forse è la sensazione di essere sua finalmente. Anzi, probabilmente è più il fatto che lui sia mio: il modo in cui si lascia baciare, in cui cerca il mio tocco, quello in cui sfiora il mio corpo come se dovesse trattarlo bene.
Più le mie molecole si tendono, più il mio corpo diventa sensibile ad Alex e percepirlo così intensamente rende ogni mio senso più vivo.

“Sofia…” sussurra lui strofinando con languore il naso contro la mia clavicola e sentirgli pronunciare il mio nome così e adesso mi fa ridere.
“Dimmi Alexander…” rispondo sogghignando e la vibrazione ci fa perdere la sincronia per l’ennesima volta.

Lui si unisce a me nella risata, sollevando il viso e fermandosi su di me: mi fissa per qualche secondo dritto negli occhi, poi muove lentamente il bacino ed io non riesco a controllare le palpebre che si chiudono, assaporando i suoi gesti attenti.
“Apri gli occhi, Med…” è una richiesta appena sussurrata, ma il mio corpo non risponde ai miei ordini. Il caldo che irradia da lui sembra l’unica cosa che guida il mio essere e, quando si china sul il mio viso, il ricordo di Armani Code mi avvolge impercettibilmente e mi guida verso il suo collo: accarezzo il naso sulla sua pelle, alla ricerca disperata di quel frammento che, per un attimo, ha invaso il mio respiro. Poi la sua voce, leggermente tremante, mi distrae di nuovo e la sua richiesta fa diffondere un tepore ancora più penetrante nel fondo del mio ventre:

“Baciami…”

Sembra stupido, ma sentirgli chiedere di essere baciato mi fa sentire importante, come se lui avesse bisogno di me: è una realtà nuova, una gratificazione che non conoscevo. Quello che Alex mi sta facendo provare in questo momento tinge il sesso di sensazioni che non conoscevo.
 
I secondi passano e si fanno respiro quando smetto di preoccuparmi e mi decido ad assaporare lui.

Noi.

E, contro ogni mia previsione, siamo prefetti: imperfetti e impacciati a tratti, incerti e fuori tempo in alcuni momenti, ma sono a mio agio come non mi era mai successo con L. Le carezze ogni tanto si spezzano in risate e i suoi baci a volte mi fanno il solletico, ma il mondo si ferma e il mio corpo parla con il suo in un modo che non pensavo fosse possibile.

È tutto delicato, tiepido e piacevole.

Rido e mi sento viva. Il sesso non era mai stato divertente, non era mai stato ridicolo: ma con lui sto scoprendo una nuova me, che non si preoccupa di un atto meccanico ma che si diverte e ride mentre cerca una sintonia così difficile da trovare. La timidezza e l’incertezza svaniscono e lui diventa il mio complice, non il mio obiettivo.

Sento lui e sento me stessa più di ogni altra cosa al mondo. Per il tempo in cui siamo un’unica cosa il mio cuore accelera insieme al sangue che si diffonde nelle mie vene: il suo respiro affannato e spezzato diventa ossigeno per me, si fonde sulle mie labbra, posandosi leggero sulla punta della mia lingua e rendendo il gusto di Alex amplificato fino ad entrarmi nella pelle, correndo lungo i miei nervi, giungendo potente fino all’incontro di noi.

Laggiù. Dove non so più dire dove finisce lui e dove comincio io. È una cascata di calore che ha il sapore della sua carne che si appoggia alla mia, della sua pelle che sfrega contro la mia sempre più piano, ma più a lungo, come qualcosa che non riesco ad afferrare del tutto.

È lì, proprio, ad un niente da me: si fa rincorrere e si fa aspettare per non costringermi a smettere di sentire. Toccare. Assaporare.

Poi la sua pancia tesa si abbandona sulla mia per un secondo di troppo e, all’improvviso, mi trovo a respirare in modo affannato e a percepire i muscoli del mio corpo tendersi con una scossa che si scioglie in calore e, contro volontà, le mie cosce si stringono con dolorosa forza attorno ai suoi fianchi, animate da uno spasmo costante mentre tutti miei muscoli si contraggo attorno a lui. È il mio corpo che lo tira a sé, che lo avvolge, che lo tiene vicino con prepotenza e gratitudine.

Contratto. Rilassato.

Come se non sapesse se tenerlo stretto più a lungo o lasciarlo andare del tutto. Come se non capisse se lo vuole con sé o lontano da sé.
Le orecchie mi si tappano, o forse l’urlo del mio corpo è troppo forte per sentire altro. Le guance sembrano scottare, le mie dita diventano più sensibili alla morbidezza della sua pelle e le mie narici inspirano un odore che sa di piacere. Non vedo nulla e, nello spasmo interminabile, chiudo gli occhi percependo il caldo che si solidifica in piccole macchie di luce nel buio che pulsa sotto le mie palpebre.

Attento a ciò che il mio corpo gli sussurra, Alex si ferma per un momento, baciandomi forte e intrecciando le nostre dita, mentre il mio cuore cerca di tornare a battere ad un ritmo costante e il mio respiro si fa più lungo.

“Porca puttana.” esclamo in modo decisamente poco elegante e lui scoppia a ridere, affondando il viso contro la mia pelle e aspettando che io mi rilassi abbastanza da permettergli di ricominciare a muoversi.

That was fast...” sussurra stupito dalla rapidità con cui il mio corpo ha risposto al suo.
“Te l’ho detto che io sono veloce.” sghignazzo soddisfatta, prima di baciarlo e lasciare che recuperi il tempo perso e riprenda il ritmo leggero che, poco fa, mi ha tolto il controllo su me stessa.
Alex si prende il suo tempo e sentirlo con me, percependo il suo corpo che si tende e si rilassa, sembra dilatare lo spazio: non so per quanto i suoi respiri scandiscono i miei minuti ma, mentre incontro i suoi gesti e le mie dita corrono sui suoi capelli, i suoi denti mordono lievemente le mie labbra e la sua reazione a me diventa la cosa più bella che abbia mai assaporato.

Quando sussurra “Shit...”, sollevandosi per reggere il suo peso e rallentando, cerco di accompagnarlo come ha fatto lui con me, baciando la sua pelle e accarezzando il suo viso: stringe gli occhi con forza e smette di respirare per un secondo, abbassando la testa per incitarmi ad accarezzarlo ancora e ancora, mentre le sue braccia cedono. Si appoggia delicatamente contro di me, cercando veloce le mie labbra e, mentre mi bacia, riprende a sorridere.

“Dio mio...”
“Preferisco se ti rivolgi a me come a una donna.” scherzo premendo i polpastrelli contro la sua pelle per tenerlo vicino più a lungo e lui soffia l’ennesima risata sulla mia bocca.
Il silenzio si espande piano tra di noi e l’unico rumore che posso percepire è quello del suo cuore che pulsa contro di me: non si muove, rimane disteso sopra di me, accettando ogni carezza che accompagno sulla sua schiena e facendo scivolare ogni tanto le labbra sulla mia spalla.

È qui, ancora fuso con me mentre cerchiamo di ritrovare un respiro regolare e mi rendo conto che anche questa parte è nuova: nella mia vita intima, di solito, al piacere seguiva un senso di disagio, alimentato dal non sapere che gesti fare, se restare o alzarmi.

Per la cronaca, con L finiva sempre che, una volta ottenuto quello che voleva lui si spostava e si rivestiva, levandomi dall’impiccio di capire che posto prendere nei minuti successivi.
E invece Alex non accenna a muoversi: resta disteso contro la mia pelle, respirando il mio odore e dicendomi piano:
“Sai di buono.”
“So di te, cretino.”

Sollevo il suo viso, guardandolo dritto negli occhi, confesso:
“Dio, se ne valevi la pena.”

E il sorriso che si anima sulle sue labbra è qualcosa che non avevo mai conosciuto.


PS: la foto viene da qui http://www.pinterest.com/pin/65935582018157273/

lunedì 2 giugno 2014

Thank you for... la sfida.

Ieri un'amica ha espresso un amore particolare per una canzone degli ABBA: "Thank you for the music".

Immagino che la conosciate tutti più o meno; io ero nel versante dei meno, nel senso che mi era noto solo il ritornello, benché possedessi da anni la colonna sonora di "Mamma mia!".
Ma alla sottoscritta piace fare cose ben oltre le proprie possibilità (vedi, ad esempio, il programma di studio che ho fatto per oggi) e lei ha il potere di farmi sciogliere il cuore anche solo dicendo "nappina".

Facciamo un passo indietro: come sono passata dal raccontarvi del panico dal palcoscenico a discutere di cover con altri? Non ci sono passata. Sono ancora affetta dal problema, ma da sola in casa mia riesco a cantare e registrare. Dal vivo non sarebbe possibile.
Per non dilungarci: non ricordo perché ho costretto le ragazze del RA a pipparsi le mie cover (sante donne) e ho chiesto il loro aiuto quando è giunta a me la richiesta di un'amica di cantare una canzone al suo matrimonio. Ecco, qui - magari - avrei bisogno anche dei consigli di qualcuno di voi, se vi va.

Comunque, con la canzone degli ABBA tutto è cominciato con un "Però, se tu mi cantassi Thank you for the music..."

Dunque: pigiare qui: Cover.

Io sono Ariete. Credo sia sufficiente per farvi capire come sono fatta.
In pausa studio ho pensato di provarci. Che sarà mai?

Compra la base musicale.
Prova a cantarle la versione di Mamma Mia!
Muori perché è troppo alta.
Abbassala.
Muori comunque.
Smetti di tergiversare.
Metti la base in Garage Band e prova a cantare.

Primo pensiero "Oh, merda, le strofe sono strane!"... E lo sono davvero. O forse sono io che non le conosco abbastanza. In ogni caso, si capisce anche dalla mia cover che mi erano ignote.

Parte il ritornello. Nuovo pensiero: "Oh, merda, il ritornello è potente... Ora stecco."

Finisci la canzone e ripeti dall'inizio.
È stato frustrante, perché non beccavo i tempi, sbagliavo la melodia, perdevo il controllo della voce nelle note alte... Cose così. Ma poi l'ho finita: cioè, ne è uscita una versione finale perché era tardi e temevo che i vicini mi avrebbero denunciato.

La versione è più che imperfetta (ascoltandola stamattina mi rendo conto di quanto), ma la parte che più mi è piaciuta non è stata vedere come mi era venuta alla fine: è stato il gusto della sfida.
Provare a cantare un genere che non mi appartiene.
Il divertimento quando dovevo cimentarmi nelle note alte.
Il ridere da sola ogni volta che sbagliavo la strofa.
Farlo perché a lei avrebbe fatto piacere e farlo perché era fuori dalla mia portata.

Ecco, a volte le sfide ci portano a fallire o a ottenere risultati mediocri. 'Sticazzi! Non è scritto da nessuna parte che se una cosa è imperfetta non va bene.
Nella misura in cui andiamo oltre noi stessi, anche la sfida con risultati scadenti può darci qualcosa.

Lei me l'ha chiesta per il significato del testo: perché lei prova quello quando si dedica alla scrittura.
Io ho provato, indubbiamente, qualcosa di molto piacevole dedicandomi alla sfida.

Quindi, grazie per la sfida!

PS: ora, con questa storia c'entra poco, ma ho sempre "Hallelujah" di Jeff Buckley da cantare... se avete consigli e suggerimenti su cosa migliorare, io accetto tutto. Devo cantarla di fronte a un centinaio di persone, quindi se avete qualche idea su cosa cambiare e su come migliorala, o anche solo un parere su cosa non funziona, lasciate un commento e io ne farò tesoro.
Una prova la trovate qui... Mi auguro di paroneggiarla un pelo meglio una volta studiata. Hallelujah cover