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giovedì 23 gennaio 2014

L'imbarazzante piacere del TuttoTondo (The world meets Alex)

Avevo detto che l'avrei messa online, giusto? Ergo proseguo nel postare TuttoTondo sul mio amato blog.
Proseguiamo con altri due capitoli in cui viene introdotto un nuovo, importante personaggio.
Have fun!

A scanso di equivoci, ripeto il concetto: non sono ammesse o autorizzate scopiazzature, ispirazioni e tutto il resto.

Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia



Casanova casanuova


    Di norma ho una spiccata capacità di perseverare nello sfoggiare un'espressione stizzita e di disapprovazione: quando ho a che fare con le mie migliori amiche, però, i miei meccanismi di autodifesa e i miei superpoteri di stronzaggine fantasmagorica, vengono meno.

Probabilmente dipende dal fatto che le loro menti riescono a partorire un elevatissimo numero di baggianate e, in genere, hanno tutte lo scopo di farmi scoppiare in una fragorosa risata. Se non altro per la qualità delle offese che gli escono dalla bocca. Non che io mi titi mai indietro in fatto di improperie, lo ammetto.

Ricordo distintamente una delle liti più accese avvenute tra noi tre, in cui le espressioni meno offensive che ci siamo rivolte devono essere state Hai la faccia come il culo, con elegante riposta costituita da Almeno io ho una faccia, tu sei tutto culo: e tu sei una merda, l'ultima parte rivolta alla terza interlocutrice, e Tra merda e mignotta, preferisco merda.
Sì, l’imbarazzo per l’incomparabile livello di volgarità che ci caratterizza dovrebbe, in qualche misura, crearmi disagio: invece, quando penso alle cose diciamo, riesco solo a ridere. Da vere classiciste le nostre espressioni colorite si sviluppano, spesso, in una varietà di figure retoriche.
La metafora la fa da padrone, ma anche la metonimia è di uso corrente (ad esempio, quando voglio esprimere, come oggi, la mia stima per Jules, la chiamo Culo: una parte per il tutto) e la crasi è la specialità di Bet quando si innervosisce troppo e, nel pronunciare insulti, fonde una parola con l’altra: non si capisce una fava di quello che dice. Noi diciamo che ha la lingua diversamente abile, lei che è una letterata anche nell’ira.

E questa volta, nonostante il mio attuale non equilibrio mentale, non è diversa dalle altre: durante il percorso verso casa la tensione tra me e Jules si allenta.
È bastato che nel salire in macchina Bet si intrappolasse nella cintura di sicurezza e, cercando di liberarsi, sbattesse la testa, il ginocchio e poi il gomito contro il finestrino per farci dimenticare del nostro piccolo scontro per concentrarci su un bersaglio più facile.

Fino a che Bet non ha minacciato di sbatterci giù dall’auto in corsa, che per Bet sono i 35 all’ora, e di caricare su youtube il video di noi due che, in balia dei fumi dell’alcool, commentiamo con interesse la trama di un porno scaricato da internet accidentalmente. A quel punto ci siamo viste costrette a deporre l’ascia di guerra e abbiamo iniziato a fantasticare sulla mia futura compagna di appartamento.

Sulla strada verso casa il dibattito si fa acceso: c’è chi scommette che sarà una secchiona, frigida, bigotta, fissata con l’ordine e la cucina macrobiotica. E anche un po’ sporca. Chi cerca di incoraggiarmi dicendomi che sarà sicuramente una ragazza piena di energia e di iniziative. Io non commento, ma al momento, entrambe le possibilità ai miei occhi risultano fastidiose.

Arrivate sotto casa mia Bet parcheggia, scende dalla macchina e inizia a zompettare elettrizzata verso il mio portone. Io e Jules la seguiamo ridendo.
“La giusta punizione per la tua acidità sarebbe che ti capitasse una Amish, puritana che non ti permette di usare l’acqua calda. Ti immagini la sua faccia a sentire i tuoi gemiti simulati, mentre L fallisce miseramente nel tentativo di procurati un orgasmo?” sghignazza Jules mentre saliamo le scale.

Io sopprimo una risatina e, aggrappandomi al corrimano e voltandomi verso di loro, ribatto:
“Per mia fortuna e non certo per merito di L, non ho mai dovuto fingere! Credo che se fossi un maschio soffrirei di eiaculazione molto precoce. Forse è una malattia congenita, ma l’orgasmo lo raggiungo alla rapidità del suono. Mi basta uno schiocco di dita ed è fatta! È abbastanza imbarazzante.” rispondo sorridendo vittoriosa e mostrandomi per nulla colpita dal dito medio di Jules rivolto alla sottoscritta, la quale riceve una tirata di ricci da Bet come punizione.
Poi, mentre ancora riesco a mantenere l’equilibrio in questa - per me - impresa di salire la scala all’indietro, vedo gli sguardi delle mie amiche spostarsi alle mie spalle e, inspiegabilmente, l’aria attorno a me si fa elettrica.

Ed è allora che una voce sicura e profonda dietro di me, afferma:

“C’è chi la definirebbe una benedizione al posto tuo. Ma credo, così a prima vista, che la tua sia effettivamente una patologia.”
Fa una pausa breve, durante la quale io cerco di rendermi conto se sono caduta, ho battuto la testa e sono chiaramente in coma e sto sognando la surreale vicenda di cui sono vittima.
 “Forse sei una ninfomane. O forse non sai lasciarti andare e, la verità, è che tu un orgasmo non l’hai mai avuto. Hai l’aria di chi l’amore non lo sa fare. Di chi si convince di abbandonare le inibizioni, ma in realtà dentro di sé è talmente tesa che non si accorge nemmeno se è eccitata o meno.”.

Mi volto lentamente con gli occhi sgranati e le labbra separate per lo shock.

“Guardandoti negli occhi, opto per la seconda. Sessualmente incapace direi.” conclude l’inopportuno e assurdo individuo di fronte a me, con un sorriso arrogante.

Tengo lo sguardo fisso sul padrone di quella voce. I suoi occhi sono magnetici. E terribilmente fastidiosi. Di un azzurro così carico che fa male. Sicuri, superbi e arroganti. Tanto profondi e penetranti da farti sentire esposta e vulnerabile. Tanto intensi da fare arrossire.
Capelli biondo scuro, tendenti al castano, mossi e ribelli. Tanti capelli. Mi piacciono i tanti capelli.

Vorrei affondarci la mano e tirarli. Sarebbe sconveniente?

Proseguo nello scrutarlo e incontro il suo naso, dritto e armonioso. Poi, con lo sguardo, raggiungo le sue labbra. E che labbra. Di quelle belle. Davvero belle. Sembrano così soffici e lisce.

 Sono arricciate in un sorriso sfrontato; il sorriso di chi crede di avere la soluzione ad ogni quesito e di chi è talmente presuntuoso da non mettersi mai in discussione.

 I lineamenti del suo viso sono delicati ma sicuri. È alto, con un fisico asciutto. Indossa un paio di vecchi jeans consumati e una maglietta a maniche lunghe tirate su fino al gomito, dello stesso blu dei suoi occhi. Tiene le braccia incrociate sul petto e si appoggia al muro, caricando tutto il peso sulla spalla destra e sulla gamba sinistra, in una posa insolente e distaccata.

Decreto che è un discreto gnocco senza ritorno e un paio di miei ormoni cercano di prendermi a sberle e di spronarmi ad tiragli un limone, prima di dargli un colpo ben assestato sull’inguine e liberarmi della sua scultorea persona. Quando faccio progetti criminali mi sento molto fiera di me.

Dall’alto della scala mi scruta di rimando da testa a piedi, come ho appena fatto io con lui, e il suo sorriso si fa più ampio, più divertito e più strafottente.

“Sessualmente incapace, ma il materiale per lavorare sembra esserci, tranquilla!” mi dice attirando i miei occhi sui suoi.

Il sorriso ha raggiunto il suo sguardo e il mio desiderio di mettere in pratica il mio piano omicidiario si fa sempre più pronunciato.
L’assurdità di tutto quello che sta succedendo mi spinge a smarrirmi per pochi attimi e, per un istante, le sue parole riecheggiano dentro di me. Sono rintronata e cerco di capire se ho ancora l’uso delle mie corde vocali.

“Scusami?” domando io, ringhiando tra i denti.
“Ah, sei anche sorda oltre che impedita tra le lenzuola? Al secondo problema posso rimediare. Per il primo mi dispiace, ma non è il mio campo” risponde lui, sempre più baldanzoso.

“Ok, hai dieci secondi per sparire dalla mia vista. Dopo di che, puoi dire addio ai tuoi cari gioielli di famiglia.” Sibilo io.
Mi sono irrigidita per la rabbia e le mani mi prudono. Voglio picchiarlo. Voglio prenderlo a pugni fino a che non gli si cancella quel sorrisetto dalla faccia.
È vero che sono una ragazzetta timida, ma è altrettanto indiscutibile che io sia una testa calda, con gravi problemi di controllo e piuttosto facile all’ira.

Lui non fa nulla per trattenere una sottile risata, mentre continua a fissarmi negli occhi, per nulla intimorito.
“Dieci secondi, piccolo Lord impotente. Ti concedo dieci secondi, e ti assicuro che, quando si tratta di numeri, sono molto propensa a barare!”
Il mio tono è minaccioso e stizzito. I miei occhi sono più scuri per la rabbia e la mascella mi si serra mentre una scarica di adrenalina mi fa ribollire il sangue nelle vene: l’aria si fa sempre più tesa e sento le mie amiche bisbigliare qualcosa di incomprensibile alle mie spalle quando la risposta di lui arriva puntuale e pungente.
 
“Come probabilmente bari sul numero dei ragazzi con cui sei andata a letto? Mi verrebbe quasi da scommettere sulla possibilità che tu sia vergine!” mi sorride mentre sputa tutti queste illazioni ed io percepisco una propensione allo strangolamento che raramente si palesa dentro di me.

E non sono nemmeno una ragazza violenta. Beh, non lo sono la maggior parte delle volte per lo meno.

Sto per lanciarmi su di lui, pronta a fargli ingoiare quei meravigliosi e lucenti denti, quando sento una mano sulla spalla e un po’ della tensione che mi attanaglia, si allenta dal fondo del mio stomaco.

Mi blocco e ruoto la testa verso Jules. I suoi occhi incrociano i miei. C’è una strana luce che li orna, uno scintillio che non promette nulla di buono. Dentro di me sorrido, consapevole del fatto che ho in lei una malefica alleata.

Forse più porca che malefica, ma senza dubbio sufficientemente pungente.
 
Guardo Bet, altrettanto capace di atterrarti con una sola frase, convinta di trovare nei suoi occhi lo stesso brillio. Ma mi sbaglio. Questa volta vi leggo un severo rimprovero. Il suo viso è scuro e fermo e prendo atto del fatto che la mia bionda amica  non è dalla mia parte.

Sto per sussurrare qualcosa a Jules, quando Bet avanza verso di me.

“Non ora, Med. Appoggerei i tuoi malefici progetti, data l’assurdità dell’evento, se al momento non avessimo altre priorità. Non abbiamo tempo da sprecare con il bello e dannato sconosciuto” all’espressione faccio roteare gli occhi. Lei mi ammonisce severa con lo sguardo, prima di proseguire imperterrita.
“Che ti frega di fare rissa con l'estraneo? Dovresti provare solo compassione per uno che si comporta così. Per quello che sai è appena stato a letto con l’inquilino del terzo piano. Il che richiede uno stomaco non indifferente, se vuoi il mio parere. Comunque, non è questo il punto.” Scuote la testa ripetutamente, quasi fosse un tentativo di ritrovare il nocciolo della questione.

“E quale sarebbe il punto, Miss Io Non attacco Briga con gli stronzi in momenti poco convenienti, ma non ho problemi a mettere verbalmente KO il macellaio perché mi ha dato il crudo scadente?” le domanda con aria di sfida Jules.

Non posso fare a meno di ridere. Jules mi tira uno scappellotto e, in risposta, io emetto un suono di dissenso dal profondo della gola, massaggiandomi la testa. Jules ride.
“Basta, cretine! Il punto è che siamo in ritardo. La coinquilina di Med sarà alla porta ad aspettare. Devo fare pipì e il Casanova dei poveri alle vostre spalle, non ne vale la pena” conclude soddisfatta di aver riguadagnato il filo del discorso e di essere, per l'ennesima volta, la voce della ragione e quella responsabile.


“Il Casanova dei poveri è ancora qui e vi sente!” ci urla lui dalla sua posizione.
“Ti dispiace stare zitto e sparire? Anzi no, ancora meglio, perché non implodi? Perché non ti fai i mille granelli di sale?” gli rispondo girando sui talloni per guardarlo.

“Così puoi raccogliermi e cospargere di me il tuo prossimo bagno caldo, sperando che i miei granelli riescano a regalarti quello che tanto aneli? E nel caso non fosse chiaro, mi riferisco sempre all’orgasmo che ancora non hai provato” ridacchia lui con fare di sfida e, controlla le reazioni delle mie amiche alla sua esilarante battuta. Ero sarcastica, nel caso non fosse evidente.

“ Senti, piccola sottospecie di cetriolo gonfiato…” rispondo io.
“…è pallone gonfiato” mi corregge Jules annoiata e io scelgo di ignorarla, prediligendo l’opzione rissa a quella della superiorità morale: ‘sti cazzi.
“Perché non porti il tuo bel sederino lontano dalla mia vista e dalla mia bassisima soglia di tolleranza?” gli propongo estremamente irritata e lo scintillio che gli attraversa il viso fa partire un brivido dal profondo del mio ventre.

Lui alza le mani in segno di resa e, ridendo divertito, mi risponde “Va bene, va bene. Ritira dentro le unghie, micetta. Non c’è bisogno di scaldarsi tanto.”

Si scosta dal muro facendo qualche passo all’indietro e io sorrido vittoriosa.

Sì, io mi accontento delle piccole soddisfazioni.

“Ma mentre me ne vado, lascia che ti dica due cose. Primo, mi hai chiamato cetriolo gonfiato, e il cetriolo è un simbolo fallico, sai?” mi lancia un altro di quei sorrisi taglienti e, per l’ennesima volta ho l’impressione che l’aria si carichi di elettricità.
Sto per rispondere quando sento Bet sussurrarmi:
“Med, cerca di comportarti da persona matura, per favore!”

Prendo un respiro profondo e lo fisso fingendo indifferenza, mentre tento - con pessimi risultati - di recuperare il controllo sui miei istinti. Se omicidi o sessuali è da chiarire. Sempre di mancanza di padronanza di istinti si tratta.

“E la seconda?” domando con la voce più piatta che riesco a emettere.
“La seconda è che pensi che abbia un bel sedere” ribatte lui soddisfatto mentre scende le scale e ci sorpassa, mantenendo le distanze e con lo sguardo fisso su di me. Quel maledetto sorriso sempre sul volto.

Prosegue nella sua discesa verso l’uscita del palazzo e quella demente di Jules gli sorride e fa ciao con la mano, quando lui le passa vicino. Non vedo la sua reazione, ma sono abbastanza sicura di percepire una risatina che si allontana insieme a lui.
 
Resto imbambolata a fissare davanti a me, mentre la rabbia si dissolve lentamente e il mio respiro si fa più calmo. Sospiro pesantemente e lascio che il mio corpo, teso per l’ira, si rilassi. Poi sento una pressione sul mio braccio. Mi volto e vedo che Bet ha ricominciato a salire la scala, e Jules mi sta leggermente spingendo, sperando di smuovermi dal gradino su cui, negli ultimi dieci minuti, ho piantato le radici.

Bet mi sorpassa e mi colpisce leggera sulla nuca, ridendo.
“Forza, attaccabrighe, abbiamo una puritana da incontrare!” dice, saltellando su per la scala verso il quarto piano, dove si trova il mio appartamento.
“ Pensavo ti venisse un embolo per l’irritazione a un certo punto. Eri così rossa che sembravi un personaggio dei cartoni animati giapponesi!” ride Jules tirandomi su per la scala. “Però, io ero pronta a saltargli al collo con te!”
“ Ti ringrazio, amica fedele” le rispondo seguendola.
“ Ero pronta a saltargli al collo e fargli un succhiotto! Ma hai visto che maschione che era! Mamma mia, altro che hop-hop!” ridacchia lei.

Hop-hop, per la cronaca, è una delle espressioni con cui noi esprimiamo la nostra approvazione per l’estetica di un uomo: sta a significare che ce lo faremmo da più angolazioni. Nello specifico lei avrebbe fatto hop-hop con faccia di caccola appena smaterializzatosi: non scandalizzatevi, ve l’ho detto che Jules è una deviata.

“Jules, sei una schifosa. Adesso capisco la luce nei tuoi occhi. Volevi fartelo, non perorare la mia causa!” le rispondo divertita.
“Certo che ero con te, piccola rissosa amica! Però non sta scritto da nessuna parte che, mentre lo picchiavo, non potevo farci tutto il Kamasutra versione semi-violenta!”
E io sghignazzo all’immagine della mia amica riccia in tutina aderente e frustino.

"Allora vi date una mossa? Me la sto facendo addosso! Raccogliete i medaglioni di bava che vi penzolano da quando Casanova è apparso, e venite ad aprirmi la porta” urla Bet dalla tromba della scale e noi, divertite, acceleriamo il passo.
 

Non appena apro la porta di casa Bet schizza come un razzo verso il bagno ed io mi lascio cadere sul divano distrutta, appoggiando la testa sul bracciolo. Quasi contemporaneamente accendo la tv.
Jules si rannicchia accanto a me e muove le braccia nell’aria nella mia direzione, come una bimba, cercando di strapparmi dalle mani il telecomando.

“Voglio vedere le repliche di Grey’s Anatomy!” si lamenta lei, continuando ad agitare le mani.
Io rido e allungo il braccio dietro la mia testa, lontano dalla sua presa.
“Te lo scordi! È casa mia e si guarda quello che dico io! Ti devi disintossicare dalla televisione!” la rimprovero, fingendomi sua madre.
“Disse la teledipendente che senza telefilm americani non sopravvive!” esclama Bet alle mie spalle, mentre si avvicina sorseggiando un bicchiere d’acqua. Poi si siede rilassandosi sulla poltrona accanto a noi, si leva le scarpe, ripiega le gambe sotto di sé e si abbandona all’indietro nella poltrona, sospirando.

“Sono a pezzi! Non ce la faccio a tornare a casa a studiare. E poi Jimmy. non c’è! È a finire uno dei tanti progetti per la tesi. Che uomo palloso.” si lamenta sfregandosi la fronte con il palmo della mano, cercando di allontanare la frustrazione.
“Come sta J? Non avevi in progetto una seratina a luci rosse nell’intimità della vostra casetta?” le domando girandomi a pancia in giù sul divano. Subito dopo sento un tonfo sordo e vedo Bet alzare la testa di scatto, sgranare gli occhi e sopprimere una risata. Seguo il suo sguardo, giro la testa e vedo Jules sdraiata a terra supina, tipo pelle di leone, che si massaggia il fondo schiena.

“Cazzo Jules, quanto sei goffa!” scoppio a ridere e nascondo la testa tra i cuscini per limitarne il suono.
“Sei tu che ti muovi con la grazia di una balena. Culona! Fammi risalire. Con i tuoi modi delicati mi hai scaraventato giù dal divano” borbotta lei con la testa bassa, mentre si rialza in piedi, continuando a strofinarsi il coccige. Io prendo qualche veloce respiro mente la mia risata si spegne, mi siedo e apro le braccia verso di lei.
“Dai vieni qui, sacco di patate! Mi dispiace. Ti sei fatta molto male?” le domando, inscenando una tenera interazione tra mamma e figlia. Lei spinge in fuori il labbro inferiore, lo fa tremare e annuisce con la testa. Poi finge di asciugarsi una lacrima e di tirare su col naso.

“Che faccia di culo!” tossisce Bet sorridendo.
“Mi fa male il sederino, mamy.” Prosegue la scenetta Jules, ignorandola
“Sederino..” bisbiglia Bet scherzosa “…la porta aerei vorrai dire!”
Jules solleva la testa dalla mia spalla e, mordendosi il labbro, fa il terzo dito a Bet, che sghignazza. Io stringo le labbra per non cedere all’ilarità della finta lite tra le due e domando “E cosa possiamo fare per farti passare la bua?”

Lei strizza gli occhi e si mordicchia un’unghia, fingendo di pensare. Poi mi guarda con un sorriso enorme e esclama “Una torta salata ai carciofi, prosciutto cotto e fontina mi farebbe stare molto meglio!”
Io e Bet ci lasciamo andare e scoppiamo in una incontrollabile risata.
“Sei una cloaca! Ma pensi sempre a mangiare?” le chiede Bet tra i veloci respiri.
“Ho fame. Non ci posso fare nulla! Ero così arrabbiata con Cucciolo che non ho neanche fatto colazione!” ribatte lei unendosi alle nostra risa e massaggiandosi lo stomaco con movimenti circolari.

Bet si blocca all’improvviso, mi guarda con occhi sospetti e poi mi interroga:

“A proposito di maschi; vogliamo parlare della tensione sessuale che c’era tra te e Casanova poco fa?”
“Tensione sessuale? Ma fammi il piacere, Bet!” rispondo io, sentendo la rabbia risalire lungo il mio corpo al solo pensiero delle indelicate insinuazioni di quel tizio.
“Non fare la finta tonta! Lo guardavi con tanta lussuria da finire dritta all’inferno solo per il pensiero!” ribatte Jules, dandomi una spinta e facendomi rovinare a terra, prona.
“Che cavolo! Credo di essermi spappolata il fegato cadendo!” mi lagno io cercando di rialzarmi e, appoggiando una mano sul bordo del tappeto, scivolo senza grazia, sbattendo il naso sul parquet.

“Cazzo che male!” mugolo, raggomitolandomi sulle ginocchia. Mi porto le mani al viso e ci incapsulo il naso, stringendo forte, nella speranza di alleviare il dolore. Strizzo gli occhi e mi piego in avanti, appoggiando fronte e gomiti sul pavimento.

Dalla mia posizione sento il campanello della porta suonare. Bet ride e grida: “E’ aperto!” poi si volta verso di me e dice: “E’ arrivata la puritana!”
Io grugnisco senza alzare la testa e mantenendomi nella mia posizione. Il mio sedere, in tutta la sua non gloria, accoglierà la mia nuova coinquilina. Poco male. Capirà che non sono molto socievole.

“Med, ti senti bene?” mi chiede Jules mentre si volta verso la porta “forse dovremmo alzarci ad aprire”  suggerisce dubbiosa.
“Io da qui non mi muovo finché non ricomincio a sentirmi il naso” rispondo io sofferente.
“E’ aperto!” ribadisco io alzando la voce ma senza muovermi di un centimetro dal mio angolo di pavimento.

Sento il cigolio della mia porta d’ingresso, seguito dalla voce calda che ancora è stampata nella mia mente e mi fa ribollire il sangue:
“Meraviglioso! Sei già pronta ad accogliermi con la tua parte migliore?”
 
No, non è vero! Ditemi che è uno scherzo!
 
Sgrano gli occhi, sconvolta e sento Jules e Bet trattenere il respiro. Mi sollevo di scatto e, sempre più veloce mi alzo in piedi. Pessima idea! La testa mi gira e mi vengono le vertigini. Sento che le ginocchia mi tremano. Sto per cascare nuovamente a terra quando due braccia forti, rapide e ferme, mi afferrano la vita, impedendo la caduta verso il basso. Non riesco a tenere su la testa e allora lascio appoggiare la mia fronte sulla spalla più gloriosa che abbia mai visto.

“Sei rimasta abbagliata dalla mia bellezza?” mi domanda lo spocchioso padrone delle braccia che mi sorreggono.
“Lasciami andare, pervertito!” sussurro debolmente e senza spostare il viso dall’incavo della sua clavicola.
“Così puoi fare il buco nel pavimento?” mi risponde lui divertito.
"Io l'avrei lasciata cadere..." commenta Jules e sono certa che Bet trovi il modo di rimproverarla.

Respiro profondamente dal naso e inalo il suo odore. Oddio come profuma di buono. E se lo mordessi?
Agito la testa il più lentamente possibile, per bloccare il flusso di pensieri. Appoggio le mani sul suo torso e spingo piano, cercando di allontanarmi un po’.
“Levami le mani di dosso, imbecille.” esclamo. Ma la mia voce è ancora debole e tre risate differenti mi avvolgono all’unisono: e il che mi urta ancora di più.
 
“E’ questa la tua riconoscenza per averti afferrata prima che ti spaccassi il naso?” mi chiede lui, senza allentare la presa dai miei fianchi.
“E’ stato un gesto inutile. Il naso me lo sono appena rotto grazie alla mia ex migliore amica” ringhio io, cercando ancora una volta di allontanarlo.

Ma a quanto pare le mie spinte non sono forti come mi sembrano.

“La smetti di agitarti?! Stai ferma e respira profondo, così la testa finirà di girarti. Ti suggerirei di bere acqua e zucchero ma, considerando l’immagine che mi si è presentata appena entrato, direi che è meglio se eviti le calorie” mi sussurra lui all’orecchio e sento il suo respiro sul collo.

“Stai dicendo che sono grassa?” rispondo io rabbiosa tra i denti con un po’ più di forza sollevando di qualche centimetro la testa. Non avevo calcolato, però, che avrei incontrato quelle due pozze d’acqua blu che ha al posto degli occhi.

Madre Natura è decisamente scorretta. Non si mette un individuo tanto irritante dentro un corpo così appetitoso.

È vero che è un cafone stratosferico, ma io sono una giovane nel fiore degli anni e con degli ormoni piuttosto indisciplinati. Mi sta sulle palle, ma è innegabilmente affascinante. 
“Non ti preoccupare. A me le ragazze piacciono in carne.” Mi bisbiglia lui guardandomi dritto negli occhi ammiccando, con un’espressione a metà tra il malizioso e il malvagio.

Sì, certo, come no.

“Ma per cortesia...” borbotto cercando di liberarmi per l’ennesima volta e la sua presa si fa più sicura: poi il sorriso raggiunge quei cazzo di occhi e la mia testa ricomincia a girare.

Apparentemente l’ossigeno è essenziale per la sopravvivenza. Altra realtà che cambierò quando sarò regina del mondo. Così, giusto perché mi va. Così potremo tutti pomiciare non-stop senza doverci interrompere per recuperare fiato.

“Respira...” mi dice lui con una voce talmente flebile che non sono sicura abbia davvero pronunciato le parole.
Inspiro il più profondamente possibile e spingo con tutta la forza che ho contro il suo petto. Non credo di aver fatto chissà quale impressione, il risultato però è lo stesso. Lui ride e molla la presa, facendo un passo indietro. Ma non prima di aver lasciato scorrere le dita lungo la mia vita e i fianchi.
Sento come se una scossa elettrica mi attraversasse il corpo.

“Era un brivido quello?” mi domanda inarcando le sopracciglia. Cavolo, non pensavo fosse stato così evidente. Devo lavorare sulle mie doti di simulatrice. O almeno imparare a mascherare certe cose. Le donne di polso sanno sempre simulare.

La simulatio è un must.

“Sì, lo era. È stato scatenato dal disgusto per l’odore che emani. Ti fai la doccia con le ghiandole di moffetta o hai il PH più acido della terra?” ribatto difensiva anche se ho abbastanza coscienza di non incutere grande timore.

Sento qualcuno che si schiarisce la voce alle mie spalle seguito da una risatina.
Bet e Jules non me la faranno mai passare liscia. Mi prenderanno in giro per settimane per questa scena.
Mi allontano da lui di un altro passo, chino la testa imbarazzata e mi scosto i capelli dal viso con una mano, assicurandoli dietro un orecchio. Mossa che sicuramente non fornisce un’immagine meno goffa e più sicura di me. 

“Hai una mente contorta, te l’hanno mai detto?” mi chiede lui incrociando le braccia sul petto e sorridendo.

Posso strozzarlo a mani nude? Mi darebbe una grandissima soddisfazione. Meglio ancora se anche lui è nudo.

“Esci all’istante da casa mia stupido…coso!” minaccio stringendo i pugni e pestando forte un piede.
“Coso?” domanda incredula Jules “Che fantasia!”
“Hai davvero appena pestato un piede? Cosa sei? Una bambina capricciosa di tre anni?” dice sbigottita Bet ed io scelgo di ignorare entrambe per mantenere quel poco di credibilità che mi convinco di aver conquistato.

Il sorriso del mio fastidioso e indesiderato ospite si fa più ampio.

“Cosa? Che cosa c’è di così esilarante?” gli chiedo infuriata.
Lui non risponde. Mi fissa per qualche secondo dritto negli occhi, restando immobile.

Poi si lecca le labbra divertito e risponde :
“Non me ne posso andare.”
“Perché no?” chiede Bet, incuriosita.

Il suo sguardo non lascia mai il mio.

“Perché questa è anche casa mia da oggi.” conclude lui.

Oh, porca vacca!


L'eleganza del pigiama
 
 
 
     Avete presente quelle scene in cui le stanze sono così silenziose che nelle orecchie cominci ad avvertire un ronzio e ti porti i palmi delle mani ai lati della testa premendo, quasi a cercare di chiudere quel fischio sordo fuori da te? E più premi, più il sibilo si fa forte. E allora cominci a chiederti se l’assenza totale di rumore non fosse meglio di quella sensazione di pressione che spinge contro i tuoi timpani. Tutto attorno a te sembra essersi paralizzato. Sembra che qualcuno abbia messo pause alla tua vita.

Ecco, in questo momento qualcuno si è alzato per andare a fare pipì e ha bloccato il film della mia esistenza.

Io, Bet, Jules e l’insopportabile sconosciuto restiamo fermi immobili e ci fissiamo.
Le sue parole mi rimbombano nella testa. Sento caldo. Il silenzio è diventato quasi troppo rumoroso. Non riesco a pensare. Che cosa vuol dire che questa da oggi è anche casa sua? Io devo vivere con la Amish puritana. Lei deve arrivare, bussare alla mia porta, portare dentro due pecore e staccarmi la corrente. Io devo scandalizzarla con i miei gemiti provenienti dalla camera da letto e girarle in biancheria intima per casa.

Non può dire sul serio. Io non posso vivere con lui.

“ Che…che…cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“ Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” Mi risponde lui facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancora più fuori di testa.
“ Tu sei tutto scemo! Io vivrò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!” urlo io.

“ La Amish?” chiede lui confuso, e per la prima volta assume un’espressione seria.
“ Lascia perdere. È un po’ nervosa. Sta avendo un piccolo attacco isterico, ma ora le passa. Ti consiglierei di aumentare la distanza di sicurezza comunque, se ci tieni al tuo apparato genitale.” Si intromette Bet, avvicinandosi a me e appoggiandomi un mano sul fianco.

“ Med? Med? Ci sei? Mi senti?” mi domanda sventolandomi la mano davanti agli occhi.
“ Toccale una tetta! Vedi come si riprende!” risponde Jules da dietro di noi.
“ Vuoi che ci pensi io?” chiede l’idiota, avvicinandosi.
“ Beh, sicuro preferisce essere palpata da te che da Bet “ scherza Jules di rimando.

Le lancio uno sguardo di puro e profondo odio, prendo fiato e mi volto verso l’uomo senza nome che ormai sta a un paio di passi da me.
“ Avvicinati ancora di mezzo centimetro e ti eviro, te lo giuro! Ora spiegami questa cosa!” dico sempre meno controllata, chinando la testa e facendo in modo che i capelli mi coprano il viso. Ma perché mi sto scaldando tanto?
“ Ok, tregua di dieci secondi, principessa” sospira lui fermandosi.
"Principessa ci chiami una tua chiappa." ringhio con livore, non facendo nulla per trattenere il mio astio.

Tutto questo non rientrava nei miei piani: la mia misantropia minacciava già di rendere difficile la convivenza con una ragazza, figuriamoci con un tizio cafone e arrogante. Senza contare che a mio padre potrebbe venire un embolo al pensiero che io condivida lo spazio vitale con un esemplare di maschio adulto, che risponde agli standard fisici di desiderabilità sociale e che sembra non aver conosciuto le regole della civiltà moderna in fatto di interazione.

“ Ci scusi un secondo…ehm…?” gli sorride Bet, schioccando le dita verso Jules per attirare la sua attenzione e indicandole camera mia.

“ Alex” risponde lui “ Mi chiamo Alexander. ”

“ Alexander? Ma che hai fatto di male ai tuoi per essere chiamato Alexander? I nomi belli li avevano già presi gli altri?” gli chiede Jules con gli occhi larghi.
“ I miei sono Americani. Ci siamo trasferiti in Italia quando avevo otto anni.” Risponde lui con voce seria e un po’ imbarazzata.
“ Oh…. Americano!” sorride Jules verso di me, con lo sguardo di chi sta elaborando una teoria tutta sua, e vedo gli angoli della sua bocca arricciarsi verso l’alto.

Oh, no. Che cosa starà progettando?

“ Sì, ok Alex. Piacere, io sono Bet, la riccia con la battuta pronta è Jules e la furia accanto a me, non che inquilina di questo appartamento, è Med. Ora, ti dispiace se scambiamo due parole con la nostra amica psicopatica in privato?” continua Bet tirandomi per un polso verso la camera da letto, preceduta da Jules e dal suo ghigno malefico, e chiudendo la porta alle mia spalle.

“ Ditemi che è uno scherzo. Ditemi che siete due infami e avete architettato tutto questo come punizione per la mia acidità” le supplico appoggiandomi alla porta e lasciando che la mia nuca vi sbatta contro.
“ Secondo me è la cosa migliore che ti potesse capitare!” afferma Jules mentre si siede sul bordo del mio letto e, con indifferenza, afferra un cioccolatino dal mio comodino e se lo appoggia tra i denti.

Mangia anche il mio cibo, quella stronza.

“ La cosa migliore? Ma io non posso vivere con quel tipo! Ma l’avete visto?”
“ Certo che l’abbiamo visto! È un succulento giovane ed è Americano. Americano, Med! È perfetto per te! Tu adori tutto ciò che viene dagli USA!” prosegue lei entusiasta.
“ Sì, uno statunitense con l'educazione di una pianta carnivora. Non avete visto cosa ha fatto?” domando io voltandomi verso Bet, augurandomi che almeno lei mi dia ragione.
È impensabile che io possa vivere con quel troglodita e Jules è troppo selvaggia per capire il problema. Le mie speranze vanno necessariamente riposte nella mia amica bionda.

Sfortunatamente, però, lei mi sorride e risponde:

“ Med, l’unica cosa che abbiamo visto è stata tanta tensione sessuale da scaraventarci fuori dal palazzo!”
“ Io mi sono quasi eccitata” ride Jules dal letto, rubando un altro cioccolatino.
“ Jules…” la apostrofa Bet sfoderando la sua voce da maestra dell'asilo, ma lei alza solo gli occhi al cielo e persevera nel divorare i miei cioccolatini.

Io le guardo incredula e penso che vi sia qualcosa di terriblmente malefico che aleggia nelle loro anime. O è quello, oppure sono due grossissime idiote.
“ Voi siete serie! Voi credete davvero che dovrei accettare di condividere casa con lui! Con un tipo che mi ha ricoperta di frasi offensive da quando mi ha visto e che, probabilmente, è un maniaco?” chiedo con gli occhi spalancati, sbalordita.
“ Oh piantala! Capirai che grossi insulti! E poi non è che rischi che si prenda la tua virtù! Quella l’hai persa prima di incontrare lo zuccherino dal passaporto a stelle e strisce” mi fa notare Jules.
“ Dai Med, in fondo che alternative hai? È la padrona di casa che sceglie gli inquilini. E lei ha già affittato la stanza a lui. Tu non hai voce in capitolo. Quindi, a meno che tu non voglia perdere la caparra e cercarti una nuova casa, devi accettare che lui sarà il tuo nuovo coinquilino” Bet sorride mentre mi dice queste cose. Sta cercando di incoraggiarmi e Jules di sdrammatizzare la cosa e rendermela più accettabile.

“ A me piace questa casa. Mi piace il mio piccolo buco di periferia” sussurro.
“ Ecco appunto, quindi basta lagnarsi. Vedrai che sarà divertente!” mi fa forza Jules.
Io le osservo con gli occhi sgranati e mi rendo conto che hanno ragione. C’è poco da fare. D’ora in poi dovrò vivere col Casanova dall' eloquio inopportuno .

Sconfitta, sconfortata e irritata apro lentamente la porta della mia stanza e faccio un passo fuori.

Alex se ne sta seduto sul margine del divano, dandoci le spalle, come se il resto del sofà scottasse. Se ne sta sul bordo tutto teso, quasi in ansia. Sembra in attesa di un verdetto.

E in effetti un po’ lo è.

Tiene i gomiti poggiati sulle ginocchia e le dita delle mani allacciate di fronte a lui. Vedo la sua testa voltarsi ogni tanto a destra e a sinistra per rubare un’occhiata furtiva a qualche angolo della casa. La sta studiando. Sta cercando di memorizzarne i particolari, i colori e l’ordine delle cose. Fa quasi sorridere come spia il salotto, muovendo appena il collo per poi riportarlo veloce nella posizione originale. Scommetto che se gli stessi davanti in questo istante, lo vedrei far roteare gli occhi il più lateralmente possibile per vedere all’angolo estremo del suo campo visivo.

Continuo a fissare il retro della sua testa mentre mi avvicino a lui in silenzio, a questo punto, molto poco conscia delle mie amiche dietro di me.

Vedere finalmente in questo tizio arrogante un po’ di insicurezza mi provoca un'enorme soddisfazione.
Sarà pur vero che non ho alternative e che dovrò condividere il mio microscopico spazio vitale con questo irritante soggetto, ma almeno potrò concedermi il lusso di vendicarmi rendendogli la cosa piuttosto spiacevole. Non mi dovrò sforzare più di tanto, data la mia poca piacevolezza caratteriale e, considerate le mie attuali condizioni psicologiche, suppongo che la cosa sarà ancora più spontanea.

Quando l’ho quasi raggiunto, Alex si volta di scatto verso di me e si alza in piedi. Mi fissa con uno sguardo interrogativo e si frega i palmi delle mani sulle cosce.

“ Sembra che la giuria abbia deciso che puoi restare” gli dico fredda. Le sue labbra accennano un sorriso, che io smorzo all'istante con l'ammissione del mio dissenso.

“ Non ti illudere, io ho votato contro.” concludo, con un tono privo di emozione, facendo riabbassare gli angoli della sua bocca.

“ Ah, ecco…giusto…senti io…” inizia lui insicuro e deluso.
“ Non provo alcun interesse nel sentire ciò che la tua mente fatica a produrre. Io non gioirei se fossi in te. Vivere con me non è per nulla piacevole, ma lo scoprirai col tempo.” Proseguo dirigendomi verso la porta accanto alla mia. “ Ora, il salotto l’hai visto. Lo stesso vale per la cucina. Se ti serve qualcosa, arrangiati. Il bagno è in fondo al corridoio. Questa è la tua stanza “ spiego, aprendo la porta “ C’è un letto singolo, un armadio, un cassettone e la scrivania. Internet è compreso nell’affitto, sempre che tu sappia usare un computer. Cosa di cui dubito.”

Mentre parlo sento all’improvviso il suo respiro solleticarmi il retro del collo.
“ E camera tua?” mi sussurra piano dalla sua posizione, a pochi centimetri dalla mia schiena.

Resto immobile, i miei polmoni smettono di funzionare per qualche secondo; la mano che ho sulla maniglia si stringe, cercando supporto. Separo le labbra e, per un solo istante, non riesco a pensare ad altro che al calore che proviene dal suo corpo. Poi mi risveglio bruscamente, la diffidenza ha dato una scossa ai miei sensi, ma mi rendo conto di non avere ancora il controllo della mia voce. Quindi, senza muovermi, bisbiglio di rimando:

“ Quella per te è off limits. Non ci puoi entrare, non ti ci puoi avvicinare, e non puoi neanche spiarci dentro. È come se non esistesse”
“ Fingere che non esista sarà la cosa più difficile al mondo, sapendo che sarai là, distesa nel buio, pensando a me.”

Che arrogante, tronfio idiota. Il sangue mi va alla testa per la rabbia. Ma questo che cavolo si è messo in testa?

Recupero il controllo di me stessa, mi volto e sorridendogli con sguardo malizioso, gli poggio le mani sul petto. Gli occhi seguono le dita che disegnano cerchi sui suoi pettorali. Non so di preciso se sia il mio terribile ed incontrollabile orgoglio a guidare le mie azioni ma ho una irrefrenabile voglia di essere scorretta e rendergli pan per focaccia. Ma so di non possedere la vera arte della seduzione e di essere provocante come un treppiede. Eppure lui non deve essere molto scaltro perchè quando sposto lo sguardo sul suo viso, vedo che mi osserva compiaciuto. Mi lecco le labbra e lo spingo con tutta la forza che ho.

Lui traballa all’indietro, probabilmente colto alla sprovvista dal mio repentino cambio di atteggiamento, poi recupera prontamente l’equilibrio e mi fissa sconvolto.

“ Stammi a sentire, Alex l’imbecille! Piantala di farti viaggi mentali. Io e te non faremo mai nulla. Io con i perdenti non ci scopo” gli dico sicura, agitandogli un dito davanti al naso. Lui resta zitto e mi guarda: nei suoi occhi sono evidenti divertimento e curiosità.
“ L…” tossisce Jules dalla soglia di camera mia.
“ Non ora Jules” le risponde Bet per me.

“ Il fatto che sia costretta a dividere il mio spazio vitale con te, non implica che tra noi ci debbano essere contatti, ok? Fino ad ora non hai fatto nulla per dimostrarmi che tu sia degno anche solo della mia cortesia, e dubito che in futuro sarai in grado di smentirti. Quindi, fattene una ragione. Io sono una lunatica isterica che non sa controllare la rabbia. Sono facilmente irritabile, permalosa e non particolarmente socievole. Ora che sono stata così gentile da darti tutte queste informazioni, limitati alla tua porzione di appartamento e fai in modo di evitarmi, se ami il tuo fondo schiena e ci tieni a vedere il tuo prossimo compleanno!”
Ecco nuovamente calare il silenzio nella stanza. Sono così tesa che se mi sfiorassero probabilmente morderei. Non so perché lui mi dia così sui nervi.
Bet e Jules sembrano imbarazzate per me. Si scambiano un’occhiata complice e recuperano le loro cose.

Alex resta fermo per qualche secondo, guardandomi negli occhi. Sta cercando di leggermi dentro, lo percepisco. Con l’intensità del suo sguardo mi sento praticamente nuda. Non riesco a reggerlo troppo a lungo. Devo rompere la connessione che ha creato, prima di affogare nel blu elettrico di quelle iridi e ritrovarmi fottuta.
Distolgo lo sguardo e lui fa un passo verso di me.

“ Tranquilla Scintilla, non ti toccherò. Hai la mia parola” ribatte, cercando i miei occhi.

“ Bene. Siamo d’accordo allora” rispondo io tenendo il viso voltato, lontano da quei magneti blu.
“ Per ora direi di sì.” conclude lui, mentre mi sfiora il collo con un dito “ Per lo meno fino a che non sarai tu a chiedermi di farlo” aggiunge sicuro. La sua voce si è fatta più grave di un’ottava.

Ci metto qualche secondo per registrare le sue parole. Sto per aggredirlo nuovamente quando Bet mi ferma:
“ Sì, ok, d’accordo. Quando avete finito di flirtare senza pietà ditecelo così possiamo farci largo tra i vostri ormoni e salutare.”
Jules scoppia a ridere “ Non avrei potuto trovare parole migliori”

Che amiche di merda!
Io resto imbambolata a guardarle, poi apro e chiudo la bocca come un minorato pesce rosso alla ricerca di una risposta sufficientemente pungente e ad effetto.

“ Stai zitta Med, ti prego. È stato molto divertente vedere questo porno in proiezione astrale, ma ho un esame tra cinque giorni e me ne devo andare” mi ammutolisce Bet, avvicinandosi per darmi un bacio a schiocco sulla guancia.
“ Io devo andare a fare pace con Cucciolo, prima che la situazione degeneri. E poi vogliamo lasciarvi tempo per conoscervi” ridacchia Jules dandomi una pacca sul sedere e facendomi l’occhiolino.

“ E’ stato un piacere incontrarti, Alex. Trattamela bene, mi raccomando. Ah, e giusto per la cronaca, non so per quale ragione, ma a lei piace stare sotto” canticchia uscendo dalla porta d’ingresso.
“ Ahahah! E ha un punto erogeno sul basso ventre!” aggiunge Bet , seguendo Jules fuori da casa mia.
“ Stronze!” grido io alle loro spalle, ma se ne sono già andate.
Fisso la porta, conscia del fatto che Alex se ne sta in piedi accanto a me. Sento i suoi occhi che mi scrutano. Ma non mi voglio voltare; se lo faccio si accorgerà di quanto sono imbarazzata e non voglio dargli questa soddisfazione.

“ Molto interessante!” sussurra lui
“Non farti strane idee, impotente” dico marciando verso la mia stanza, ben decisa a porre una maggiore distanza tra me e l'atteggiamento strafottente e invadente di questo Alex.

“ Hey, ma non mangiamo?” mi chiede facendo qualche passo nella mia direzione.
“ Mangiamo? Perché il plurale? E poi non hai detto che sono grassa? Se hai fame ordinati una pizza. Non penserai certo che io abbia intenzione di dividere il mio cibo con te o di deliziarti con la mia cucina?”
“ Ah, sei una brava cuoca?”
“ Bravissima. Peccato che non avrai mai l’occasione di scoprirlo” fingo di sorridere mentre gli sbatto la porta in faccia.

Resto chiusa in camera per buona parte del pomeriggio. Leggo, scrivo, fingo di studiare. Cerco di fare qualsiasi cosa per distrarmi dal pensiero di Alex nella stanza accanto. Non so se mi attizza di più o se mi fa più incazzare. In ogni caso, lo voglio lontano da me. L’ho sentito muoversi per la casa, mentre portava dentro tutte le sue cose e riordinava la sua nuova stanza.
Oddio, questa giornata era cominciata male ed è finita in modo disastroso.
Sapevo dall’istante in cui ho aperto gli occhi che era uno di quei giorni in cui non mi sarei dovuta alzare dal letto. Perché quando c’è il giorno nero, te lo senti nelle ossa.

Apri gli occhi, annusi l’aria e ti guardi attorno. Afferri il cellulare e non trovi nulla. Ti alzi per fare il caffè e ti accorgi che ce n’è a sufficienza solo per riempire metà del filtro della moka. E allora sai che berrai acqua sporca.
Ti fai la doccia e, a metà resti senza acqua calda. Così esci infreddolita e con i capelli insaponati e te li sciacqui nel lavandino. Ma è una sensazione fastidiosa. Hai i polpastrelli rigati per il calore della doccia, e il contrasto con il getto freddo del lavabo fa solletico e ti fa venire voglia di morderti le dita. E poi ti sembra che i capelli non siano mai ripuliti completamente dalla schiuma.
Esci dal bagno e ti ricordi del caffè. Che ovviamente è già salito, debordato ed in fase di bruciacchiatura. Lo spegni, ti abbandoni a qualche parolaccia e vai ad asciugarti i capelli.
E stai sicura che ti verranno in modo orrendo. Se ne staranno spiaccicati sulla testa, tutti elettrici e con onde che non riesci a eliminare. E così assomiglierai alla Maga Magò tutto il giorno. E come ciliegina sulla torta magari hai anche un meraviglioso brufolo sul mento! Et Voilà! Tutti sintomi del fatto che stai per vivere una giornata infernale.

Mentre faccio questa riflessione, sdraiata a pancia in su sul letto, sento il telefono di casa che squilla. Salto in piedi e corro in salotto per rispondere.

Spalanco la porta di camera mia, salto sul divano e afferro la cornetta.
“ Accidenti che atleta! Mi ricordavi un ippopotamo con due zampe rotte!” ridacchia Alex dalla cucina.
Volto la testa e, portandomi il cordless all’orecchio, gli faccio una linguaccia.

“ Molto maturo, Med!” dice lui sorridendo e scuotendo la testa.

“ Pronto?” canticchio io nel ricevitore, continuando a guardarlo e portandomi un dito alle labbra per fargli capire di tacere. Lui alza gli occhi al cielo e ricomincia a imbottire il suo panino. Devo ricordarmi di chiedergli dove ha preso gli ingredienti. Se è roba mia, mi sente.
“ Che stai facendo?” sento rispondere dall’altro capo della comunicazione.
“ L!” esclamo un po’ troppo entusiasticamente io, tenendo lo sguardo fisso sul ragazzo nella mia cucina.
“ L?” mi chiede lui confuso.

Ops, nome sbagliato. Distolgo l'attenzione da Alex e recupero il controllo della conversazione:
“ L... love, ovviamente!” Ah! Salvata in corner.
“ Love? Med, sai perfettamente che tra noi è solo un rapporto fisico. Siamo amici, io ti adoro, sei una persona fenomenale. Ma non sei il mio tipo. Io non me la sento di fidanzarmi con te.” Mi dice lui serio ed io, con un morso allo stomaco, non posso fare altro che alzare gli occhi al cielo.

Che delicatezza.

Pensavo di essermi salvata e, invece, mi sono tirata la zappa sui piedi.
“ Rallenta. Chi ti ha detto che stavo parlando d’amore. Era in senso lato. Nemmeno io voglio qualcosa di più”.
Grande bugia. Ma non farò certo la parte di quella debole.
In realtà il mio è uno sforzo superfluo: è abbastanza evidente a chiunque ci conosca chi dei due ha il coltello dalla parte del manico.
Il mio viso si fa più scuro per la vergogna e per la delusione: io ho piena coscienza di come stanno le cose. Ci ho messo tanto per accettarlo, ma so che questa è una storia senza futuro. Ma sentirselo dire non fa piacere.

Alex si avvicina lentamente al divano e, alzando la testa, mi rendo conto che mi sta osservando. I nostri occhi si incontrano e, per l’ennesima volta, realizzo che sta cercando di vedermi dentro. Non esiste. Non ora! Quando vedo che si piega verso di me per curiosare meglio, distolgo lo sguardo e inizio a giocare con il bordo dei jeans.
Le persone con gli occhi così magnetici mi danno sui nervi: godono di uno spregevole vantaggio, oltre che di uno spiccato favoritismo estetico, ovvio. Ma è abbondantemente scorretto usare il proprio potere stile Pokemon per fregare noi poveri inutili individui dagli occhi normali e, nel mio caso, pure un po' insulsi.
Penso che Alex se ne dovrebbe andare e, per farglielo capire, mi allontano e mi concentro su L che sta ripetendo il mio nome all'infinito; fa sempre così quando distogli l'attenzione da lui per qualche secondo. È un egocentrico patologico.

"Med? ... Med? ... Med?!" una vera e propria cantilena.
“Sì, ci sono. Dimmi, che c’è?” gli rispondo mettendomi ad accarezzare i dorsi dei miei libri stipati sulla minuscola mensola del soggiorno.
“Senti, ho bisogno di una mano. Lunedì ho l’orale di farmacologia, e non ho ancora studiato nulla. Mi aiuti?” mi chiede con voce gentile.
Farmacologia? Ma io l’ho data sei mesi fa!
“ Certo, come no.” Rispondo io con un po' di noia, senza voltarmi: so che Alex sta ascoltando e mi sta fissando e ritengo incredibilmente necessario fare il possibile per impedirgli di farsi gli affari miei. Tentativo vano visto che il salotto sarà sì e no 12 mq, ma almeno ci provo.

“ Solo se non è un problema.” Continua la sua opera di "corteggiamento" L, fingendo una cortesia che non gli appartiene. Sa benissimo che non so dirgli di no. E sa benissimo che lo aiuterei a prescindere. E lui non si fa certo scappare l’occasione.
“ Ma no, figurati, nessun problema.” Sussurro io, a questo punto assolutamente conscia di avergliela data vinta. Come sempre, d'altronde.
“ Ok, perfetto. Arrivo tra dieci minuti, ok?” cinguetta lui, soddisfatto.
“ Ok, ti aspetto...” ma lui ha già riattaccato. Che affettuoso.

Schiaccio il pulsante rosso del telefono e mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio: lo faccio quando sono a disagio ma, fortunatamente Alex questo non lo sa.
“ Stiamo per ricevere visite?” mi domanda Alex ora comodamente affondato in una delle poltrone e addentando il sandwich.
“ No, io sto per ricevere visite. Tu stai per sparire dalla mia vista.” Rispondo con la giusta dose di acidità e dirigendomi verso la cucina con il chiaro intento di allontanarmi da questo sconosciuto.
Lui deposita il panino sul tavolino da caffè al centro del salotto e mi segue, per nulla scoraggiato dai miei modi scortesi.

“ E dai, non essere così scontrosa! Sto solo cercando di fare conversazione.” afferma restando in piedi di fronte a me, dall’altra parte del piccolo bancone della mia, anzi, nostra cucina, e posandoci sopra le mani a sorreggere il suo corpo.
“ Oh, che carino! Ma ti consiglio di smettere di provare.” Rispondo mentre appoggio la moka sul fornello e distolgo nuovamente il viso dalla sua traiettoria.
“ Avanti, Med! Dobbiamo vivere insieme, cerchiamo di rendere le cose più facili!” mi dice porgendomi una tazza e trovo la sua cortesia vagamente urtante: sono una stronza sensibile, io. Mi è difficile mantenere l'atteggiamento scostante con chi ha atteggiamenti educati. Ragion per cui mi auguro la smetta con una certa rapidità.

“ Alex, quale parte di stai lontano da me non hai capito?”
“ Oh, mi è chiarissima quella parte. Ma non sono bravo ad applicare le regole.”
“ Beh, ti consiglio di imparare. Io non ho alcuna intenzione di avere a che fare con un arrogante cafone che si permette di dire le cose che tu hai detto a me, ad una sconosciuta.”
“ Senti, mi dispiace, ok? Lo so che ho esagerato, ma non sono riuscito a controllarmi. Tendo a non pensare prima di aprire la bocca. E poi tu me l'ha servita su un piatto d'argento.”
“ Io neppure sapevo che tu fossi lì! E in ogni caso, conserva le tue scuse forzate per qualcuno che se le beva. Tu stai solo cercando di ammorbidirmi per poterlo usare a tuo vantaggio. Io quelli come te li conosco bene. Ve ne approfittate di tutti e di tutto, sfoderando charme e gentilezza quando sapete che andrà a vostro favore. Sei un ipocrita e un opportunista.”

Quante cazzate che dico: io questo tizio non so neppure come fa di cognome. Eppure mi piace millantare saccenza. Vengo da una famiglia di tuttologi: è un problema ereditario.

“ Come l’ospite che ci sta per raggiungere?” azzarda lui e devo ammettere che ha la giusta concentrazione di sfacciataggine.
“ Cosa? Tu non sai nemmeno di cosa parli, ok? Fatti gli affari tuoi Alex, o questa convivenza sarà ancora di più difficile del previsto”

“ Sai cosa penso?”

“ No, e sinceramente non mi importa nemmeno.” Dico tenendo la testa bassa mentre osservo il caffè salire nella moka. Anche senza guardarlo, avverto i suoi occhi su di me e mi accorgo che si sta muovendo nella mia direzione. Cerco di ignorarlo fino a quando non vedo la sua mano accanto alla mia tazza, e non percepisco la sua presenza vicino al mio braccio sinistro.
“ Oh sì invece che ti interessa. Ma hai paura di ascoltare, perché temi che ti dica esattamente ciò che non vuoi sentire.” Mi sussurra piano.
Arrossisco per qualche strana ragione, ma lascio che i capelli mi ricadano attorno al viso, creando un muro protettivo e impedendogli di vedere l’effetto che mi sta facendo.
Avanti Med, piantala di comportarti come una scolaretta alle prime armi.

Non rispondo. Resto in silenzio, versandomi un po' di caffè per mantenermi impegnata, fino a che lui non ricomincia a parlare.

“ Perché ti chiamano Med?” bisbiglia, ed è talmente vicino che il suo respiro fa muovere una ciocca di quei capelli che mi proteggono dai suoi occhi.

“ Perché avrei voluto fare il medico.” Rispondo guardando dentro la mia tazza.

Med, stai zitta.

“ E che è successo?” mi domanda, senza allontanarsi.
“ La vita è successa” ribatto, cercando di nascondere l’emozione nella mia voce.

Med, che cazzo fai? Stai zitta!

“ Che cosa vorrebbe dire?” mi chiede.
Credo che i battiti del mio cuore stiano accelerando, e non so se la causa è la sua vicinanza o il fatto che questo è un tasto sensibile per me. Mi schiarisco la gola, poi alzo la testa e la ruoto verso di lui. Il suo viso è talmente vicino al mio che sento le guance andarmi a fuoco.
Ed ecco di nuovo quegli occhi intensi cercare di scrutarmi dentro: meledetti superpoteri da Pokemon.

Voglio distogliere la sguardo, ma non ci riesco. Ci fissiamo per qualche istante, poi mi accorgo che sto per rispondergli. E la cosa drammatica è che sto per dirgli la verità. Sono un'imbecille.
“ Vuol dire che…” vengo interrotta dal suono del campanello, che mi risveglia dall’incantesimo in cui i suoi occhi mi avevano intrappolata. Sposto il peso da un piede all’altro mentre lui solleva il viso e respira profondamente, irritato da ciò che ci ha interrotti.

Lui sarà anche infastidito, ma io ringrazio L per avere il tempismo migliore del mondo.

Gli tocco il braccio e faccio un po’ di pressione per fargli capire di spostarsi. Lui esita un secondo, guardandomi; poi fa un passo indietro e lascia libero il passaggio.
“ Forza Alex, vai in camera tua” dico dirigendomi verso la porta per aprire.
“ No grazie, mamma. Penso che resterò qui ancora qualche minuto. Credo che sarà interessante.” Sorride versandosi il caffè rimasto e portandosi la tazza alla bocca.
Io faccio una smorfia di disapprovazione mentre mi allontano da lui e mi dirigo verso l'entrata di casa, e lui ride. Afferro la maniglia e, abbassandola, dico:
“ Ehi, mi sembrava di averti detto di non toccare il mio cibo!”
Lui finge di non avermi sentito e alza le sopracciglia soddisfatto, spostando lo sguardo da me alla porta. Cazzo quanto è curioso!

L cammina dritto nell'appartamento, senza degnarmi di un saluto. Non mi guarda nemmeno, mi sorpassa come se non esistessi. È proprio un troglodita.
“ Ciao anche a te” sussurro tra i denti richiudendo la porta e riconsiderando la brillante idea di sostituirlo con un vibratore.
L si è fermato a qualche passo dall’entrata e vedo che fissa verso la cucina. Magnifico!
“ Ciao, tu chi sei?” domanda guardando sospettoso Alex.
Lui non fa una piega. Lo fissa e gli risponde:

“ Alex.”

L si volta nella mia direzione “ E chi è Alex?”
“ Puoi chiederlo a me, non sono scemo. So rispondere anche io alle domande” ribatte Alex mentre lo avvicina e proseguendo afferma con un sorriso smagliante:
“ Sono il nuovo coinquilino di Med.” Gli tende la mano “ Piacere.”

L abbassa gli occhi verso il suo braccio, poi li rialza e risponde “ Ah. Piacere.” e riprende a camminare verso il salotto.
“ Educato il tuo amico.” Mi dice Alex sottovoce, alzando le spalle. Io cerco di nascondere un sorriso.
“ Beh, penso che vi lascerò studiare in pace. Vado a vedere se trovo un supermercato aperto. Devo fare un po’ di scorte” esclama afferrando il suo giaccone “ visto che non mi è permesso toccare il cibo già presente in casa” ride voltandosi verso di me e facendo l’occhiolino. Io lo ignoro e lo saluto con la mano.
“ Ok…ciao Alex…e se ci riesci, non tornare proprio” rispondo dirigendomi verso il salotto.
“ Cazzo, quanto sei cattiva” sghignazza lui aprendo la porta “ Ciao uomo che non ha un nome. È stato un piacere” grida richiudendosela alle spalle e, con la sua uscita, mi sembra d'improvviso che in casa ci sia più ossigeno. Questo ragazzo è estenuante, lo percepisco.

Sospiro e raggiungo L sul divano, già annoiata al pensiero di quello che mi aspetta e cercando di ricordarmi perché ho accettato di aiutarlo.
Mi rannicchio all’estremità destra del sofà e lo osservo mentre tira fuori i libri.

C’è poco da fare, L è proprio bruttino e più lo scruto, più cerco di capire perché tiro avanti questa pseudo relazione. La nostra non è nemmeno amicizia. Non è nulla. È un rapporto inutile, che va solo a suo vantaggio e che mi spinge ad accettare cose che, per il mio carattere e la mia morale, sarebbero fuori discussione. Eppure le rotelle del mio cervello smettono di girare quando si tratta di lui; il mio amor proprio va sotto le scarpe e accetto qualsiasi cosa. E la cosa mi fa incazzare con me stessa in modo non indifferente.

Siamo proprio una specie assurda, noi esseri umani: certe volte rincorriamo ciò che ci fa più male, ciò che non ci rende persone migliori, anzi. Impegniamo ogni nostra cellula nel conseguimento di quell’obiettivo, anche se siamo consapevoli che è fuori dal nostro controllo.
Forse lo facciamo perché la sentiamo come una sfida: cambiare e modellare l’oggetto del nostro desiderio, in modo da renderlo come noi lo vorremmo. Mera illusione. Ci convinciamo di riuscire a gestire situazioni che non dipendono da noi e, nel processo, la presa di coscienza del non riuscire nella nostra impresa, ci fa sentire peggio ogni secondo che passa.
Inseguire qualcosa che è sbagliato per noi, che lentamente ci distrugge e ci trasforma in ciò che non vogliamo essere. A quale scopo? Forse ci fa sentire vivi. Forse crediamo che la felicità sia un’utopia, e allora, qualunque cosa ci faccia sentire emozioni, persino il dolore, è meglio dell’apatia. È meglio del vuoto e dell’assenza totale sensazione. Perché se non provi nulla, hai l’impressione di vivere in una bolla di staticità. Di osservare il mondo da lontano e di non riuscire a seguire con lo sguardo le immagini che ti passano davanti.
E allora corri verso quel film, quell’insieme di fotogrammi, pieno di squallore, ipocrisia e egoismo; e ti ci tuffi dentro. Ti aggrappi alla prima scena che ti trovi a portata di mano e ti ci immergi. Perché non sentirti escluso è l’unica cosa che conta. Vuoi farne parte. Vuoi appartenergli, anche a costo di dover provare sofferenza. Perché sai che almeno sentirai qualcosa. Che non osserverai più da lontano, ma ci starai vivendo dentro.

Che splendida sega mentale sono appena riuscita a fare? E tutto usando la bruttezza di L come perno. Sono davvero una professionista.

“ A che pensi?” L interrompe i miei pensieri fissandomi.
“ Nulla di importante” rispondo con un sorriso e afferrando un quaderno. “ Allora, non hai proprio nemmeno letto nulla?”
“ No, speravo mi avresti aiutato tu a imparare le cose fondamentali”. Certo, come sempre. Non sforzarti troppo, eh?
“ Va beh, direi che ci conviene cominciare” rispondo sfogliando le pagine.
Inizio a ripetere ciò che mi ricordo, mentre lui mi osserva. Non sono sicura che mi stia ascoltando o che stia capendo le mie spiegazioni, ma proseguo comunque.

Dopo un’oretta di ipotetico studio, sento una delle sue mani sulla mia coscia, e mi blocco. Alzo gli occhi dal libro e incontro i suoi. Lui non dice nulla, accenna un sorriso e poi si piega verso di me e mi bacia.
“ Credevo dovessimo studiare.” mormoro contro le sue labbra
“ E’ quello che stiamo facendo...” mi risponde, facendo salire le dita verso la parte superiore della mia gamba “ ma credo che ci meritiamo una pausa.”.

Non sono neppure sicura di aver voglia di stare con lui, ma poi la sua bocca sfiora il mio collo e decido di bloccare fuori ogni pensiero razionale.
Lascio cadere il libro a terra e afferro il retro della sua nuca con entrambe le mani, e perdo la cognizione del tempo e dello spazio, abbandonandomi all’unica cosa che so non mi permetterà di pensare troppo. Perché se dovessi farlo, non ne verrebbe fuori nulla di buono.

Quando apro gli occhi e mi risveglio dal sonno, mi rendo conto che attorno a me tutto è avvolto dal buio e dal silenzio.
Cerco di scrutare la stanza, ma è talmente scuro che non vedo nulla. Chissà che ore sono. E che cavolo di fine ha fatto L?
Mentre la mia mente si attiva e la stanza attorno a me comincia ad assumere nuovamente consistenza e forma, percepisco una presenza immobile alle spalle del divano: per un istante penso sia L, poi mi ricordo che è un verme e che è impossibile che sia ancora qui.

Per un attimo, quindi, valuto la possibilità che si tratti di un fantasma: sono sempre stata convinta che nella mia vita ce ne fosse uno che mi segue ovunque. Io lo chiamo Johnny.

Poi sento una risatina soppressa e mi ci vuole qualche secondo per ricordarmi che da oggi non ho più il lusso di essere l'unica residente dell'appartamento 3B e rendermi conto che si tratta, in realtà, di Alex.

Oddio, sono vestita, vero?

"Sei sveglia, roomie?" la sua voce ha una punta di ilarità che gratterei via con una pietra pomice e, sfortunatamente per me, il mio tentativo di ignorarlo non lo scoraggia dal cercare nuovamente l'interazione.
"No" grugnisco.

Eh già Med, mossa geniale. I dormienti rispondono sempre.

"Lo sospettavo: erano un paio di minuti che non russavi più." ribatte lui chinandosi sullo schienale del divano e appoggiandovisi con tutto il peso.
Come si manda via un molesto gnocco Statunitense? Lo spray per gli scarafaggi non funziona, vero?

"Io non russo. Ho il respiro pesante.” puntualizzo nella speranza che, una volta percepito il mio distacco, si levi dalla mia presenza. Eppure la mia nota scontrosa sembra avere solo l'effetto opposto con Mr Invadenza che da oggi abita con me.
"Med, non puoi rimanere qui."
"Certo che posso. È il mio divano."
"Nostro divano. E non puoi perchè russi troppo e io non riesco a dormire." sento una delle sue mani sulla spalla scuotermi per assicurarsi che io resti sveglia.
"E come lo sai? Stavi lì a fissarmi al buio come un maniaco sessuale."
"Speravo di riuscire a fermare con la forza del pensiero il rumore che producevi." all'affermazione mi volto per guardarlo con aria indispettita "Turns out che sei molto più potente di me. Suppongo che la tua superiorità sia da attribuire alla tua possente cassa toracica." conclude abbozzando un sorriso fastidioso, mentre i suoi occhi si dirigono a sud e si posano sul mio seno.

Porco impudente.
Oddio, non ho verificato se sono vestita o no!

Velocemente abbasso le mani e controllo se porto una maglietta e, una volta appurato che ho - non so quando - indossato il pigiama, ammonisco il simpatico Alex:
"Come sospettavo. Sei un deviato."

Lui inclina la testa di lato e mi osserva curioso; il suo silenzio e questa mania di scrutare il viso altrui mi mettono a disagio.

"Che vuoi?!"
E sorride. Lui sorride. Io mi urto e lui sorride!
"Sembra che qualcuno ti abbia abbandonata sul divano. Che fine ha fatto il tuo amico?"
Sento una morsa di dispiacere attanagliarmi l'esofago alla sua domanda, perché le sue parole non fanno che ricordarmi come si è comportato L.
Evito di rispondere e, levandomi la coperta di dosso, mi alzo dal mio posto sul sofà e mi dirigo verso camera mia.

"Oddio, quel coso che indossi è un pigiama?" mi domanda seguendomi fino alla soglia della mia stanza.
"Vaffanculo" borbotto sperando che si decida a lasciarmi in pace.
"Ci vado più volentieri con te" canticchia appoggiandosi allo stipite della mia porta e proseguendo con la sua opera di insulto libero nei confronti del mio abbigliamento notturno.

"Credo di non avere mai visto un pigiama più brutto. Ti hanno pagato i tizi del negozio per far sì che tu lo comprassi?"
A questo punto ho ampiamente superato il mio limite di sopportazione, ragion per cui mi volto e, regalandogli un sorriso inacidito, rispondo:

"E’ vintage, coglione!"

E, per la seconda volta nel giro di poche ore, gli sbatto la porta in faccia.
Lo sento sghignazzare mentre se ne torna in camera sua augurandomi una serena notte.
Ma proprio con un tipo del genere dovevo finire col dividere casa? Quel tizio peggiorerà la mia già labile stabilità psico-emotiva.
Sufficientemente provata dagli eventi della giornata, accarezzo il bordo del mio bellissimo pigiamino e, sospirando stanca, mi lascio cadere sul letto.

Che fatica essere un membro attivo del mondo!

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