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venerdì 6 giugno 2014

Dal timore della Lemon al "Pan per focaccia"



Partirò con qualche domanda per chi si cimenta nella scrittura: che cosa vi spaventa scrivere? Che scene vi creano più problemi? Vi siete mai trovati di fronte ad un passaggio che non potevate evitare e che vi siete sforzati di creare?

Scribacchiare non è affatto facile. Soprattutto scribacchiare qualcosa che soddisfi noi stessi.




So che non sono l'unica ad aver risposto in continuazione alla propria Beta "No, non ce la faccio a scrivere il po-porno"... Giusto? O solo io ho avuto per anni la certezza che non avrei mai descritto un momento di intimità?
C'è una cosa da premettere: non è la scena intima in sé ad inibirmi (certo, se ci sono troppi dettagli io rido e mi imbarazzo), ma sono i termini che hanno sempre funzionato come repellente: nominare gli organi sessuali, per intenderci... cose così.
Ecco, quando ho capito che questi nuovi Med e Alex erano più sfacciati della vecchia versione, mi sono dovuta arrendere al fatto che loro non avrebbero fatto sesso sul letto con violini e al ritmo dell'ammmore. Questi due erano più pretenziosi e ciò richiedeva che io mi depuritanizzassi e mi decidessi a dare loro un prima volta che li rappresentasse. Quindi che andassi oltre il mio limite e il mio tabù e che parlassi di sesso. Mai scritto. Letto forse due volte. Come si racconta il sesso? Mica è facile capire come fare... A me mancavano le basi e il mio blocco mi impediva di sopperire documentandomi (leggendo libri con scene intime o facendo i compiti che la Beta mi dava... tipo... "Scrivi una scena di solo sesso." ... Mi ha dato questo compito più volte e io non l'ho MAI svolto. Meriterei un 2.)... prima o poi però 'sta scena la dovevo raccontare.
Benedetta la mia Beta, perché senza i suoi incoraggiamenti a "dire di più", la scena del bancone sarebbe molto meno vivida. Fatto sta che ora, riguardando TuttoTondo, mi rendo conto che quella che era la scena che meno volevo nella mia storia e che pensavo mi sarebbe venuta peggio, è uno dei passaggi che più mi piacciono e che mi ricordano chi sono Alex e Med (sì, ogni tanto mi perdo e quando mi metto a scrivere mi devo rinfrescare la memoria).


Tutto questo per dire che, a volte, le cose che ci fanno più paura sono quelle che ci danno maggiore soddisfazione. Certo, non è detto che i risultati siano buoni o che eccelsi: probabilmente, se comparati con i risultati di chi quella cosa la sa fare, saranno mediocri... magari anche qualcosa di meno, però la soddisfazione di aver fatto qualcosa fuori dalla nostra "comfort zone" è piacevole.

Nel mio caso rileggere questa scena è più piacevole che rivedere quelle comiche o introspettive, perché quelle sono DECISAMENTE all'interno della mia comfort zone.
Questa mattina l'ho riletta bevendo il caffé e, lo ammetto, quando leggo a me vengono seri subbi sul fatto che quelle cose possa averle scritte io. Anyway, visto che c'è e che un po' mi inorgoglisce, prima di rimettermi sui libri ne faccio una nota. Così. Perché stamattina mi va di averla anche qui.

 

Dal capitolo "Pan per focaccia" de "L'imbarazzante piacere di TuttoTondo"
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1799977

“Vieni qui...” sussurro e lui obbedisce, costringendomi a voltarmi finché la mia schiena non è premuta contro il bordo del ripiano in marmo.

Poi, senza parlare, i suoi occhi mi sorridono. Con le mani mi avvolge il viso, posando la fronte sulla mia e inspirando piano: restiamo così per qualche minuto, guardandoci senza parlare e nel silenzio posso sentire il mio sangue che comincia a pulsare forte e veloce.
Non so che cosa stia aspettando di preciso, ma il calore del suo corpo contro il mio e l’intensità dei suoi occhi diventano l’unica cosa di cui sono consapevole: cingendogli la vita lo avvicino quanto più possibile a me.

“Aleman, che stai aspettando?”

Il sorriso più furbo che gli abbia mai visto fare si anima sulla sua bocca: poi le sue dita premono in modo impercettibile sulla mia pelle. Seguendo i suoi gesti, lascio che le mie labbra si posino sulle sue, chiudendo ogni ricordo di oggi fuori dalla mia mente e lasciando che il mio corpo senta solo Alex.
Più che decisa a godermi ogni secondo con lui, incurante della possibilità che le mie mani siano gelide, muovo le dita contro la sua maglia, alzandola per andare ad accarezzare loro: i muscoletti.
Lui rabbrividisce in modo evidente e spezza per un attimo il bacio, tenendo gli occhi chiusi e facendo scivolare un pollice sulla mia bocca.

Dio, ma come fa a essere così fottutamente sensuale pure mentre sono io che dirigo i giochi?
Io non sono mai stata dotata di grande spirito di iniziativa, ma in questo momento non riesco a pensare in modo razionale e lascio che le mie mani facciano ciò che vogliono.
Con le palpebre ancora chiuse Alex ridacchia della sua stessa reazione e sposta le mani sulla mia vita, invitandomi a saltare con tutta la mia grazia sul bancone della cucina: poi, senza tanti convenevoli, abbassa il viso fino al mio ventre, solleva l’estremità del mio vestito e lascia cadere un’infinità di baci sulla mia pelle, mentre nella sua risalita verso il mio viso porta con sé la stoffa da cui, una volta ritrovate le mie labbra, mi libera definitivamente.

Nel panico più totale per l’esposizione del mio corpo ai suoi occhi alla luce della cucina, mi stacco da lui per allungarmi verso l’interruttore alle mie spalle, ma Alex mi ferma, riportando il mio corpo contro il suo e sussurrandomi:
“Falla finita.”

Certo, logico che lui voglia mostrare tutto il suo corpicino asciutto con orgoglio, ma io credo che sarebbe molto più facile abbandonarmi alla situazione se non mi dovessi preoccupare di ogni piega di ciccia che lui vede.

“Fammela spegnere...”
“No, non ce n’è ragione.”
“Ma...”
“Niente ma, Scintilla. Non pensare. Baciami e non pensare.” mormora con una voce lieve come la distanza tra le nostre labbra e l’effetto di Alex su di me corre lungo ogni sinapsi del mio cervello.
Stringo le braccia attorno alle sue spalle e lascio che ricominci a baciarmi con ritrovato entusiasmo, mentre i suoi sorrisi si scontrano con i miei e il suo respiro torna a farsi appena un po’ più accelerato.

Oh, ‘sti cazzi! Tanto anche se non vedesse, la ciccia la sentirebbe comunque. Facendo questa considerazione, però, mi ricordo di eventi poco piacevoli durante la mia intimità con L e decido che con Alex non voglio provare nessuna forma di disagio.

“Alex, una regola...”
Lui sembra ignorarmi, continuando imperterrito a far scivolare le dita sulla mia pelle.
“Alex!”
“Mmh?” il suo è un mugolio appena accennato e che mostra debolmente la sua frustrazione per la mia cocciutaggine.
“Mi ascolti?”
Ma sono abbastanza convinta che l’unica cosa che sta ascoltando sia il pulsare del suo sangue che, dalla periferia, sta emigrando con grande gioia verso sud. Il che mi va benissimo ma, visto che l’aria si sta riscaldando e che la nonna sembra aver deposto l’ascia di guerra contro il mio accoppiamento, sento un’improvvisa necessità di porre un veto.

Quando la mia intimità era condivisa con L si verificava matematicamente un evento alquanto spiacevole per la sottoscritta: la strizzatura. Non è una pratica sadomaso, né un gioco di ruolo; è qualcosa che, per le ragazze in carne, ha una connotazione umiliante. È qualcosa che, quando vanti un più o meno prominente salvagente di adipe, temi con ogni tua molecola.

Qualcosa che, però, sembra essere inevitabile quando fai sesso.
La strizzatura si traduce in quell’insopportabile gesto che loro compiono ogni volta che incontrano una piega di ciccia: la afferrano e la strizzano.
La stringono con passione, come se potesse essere anche solo lontanamente sensuale, come se da questo stritolamento tu dovessi trarne giovamento e avvicinarti più velocemente all’orgasmo: ecco, non è così. Ha esattamente l’effetto opposto: d’improvviso perdi il focus, ti dimentichi che stai correndo verso la meta e il tuo touch down rischia di diventare solo un miraggio. Diventi improvvisamente conscia di quei manigliotti a cui lui si regge e, invece di focalizzarti sul tuo piacere, cominci a fare una stima possibile della misura in centimetri del grasso che tiene tra le dita e cominci a chiederti se, in realtà, anche lui stia cercando di soppesarne la mole. O se si stia chiedendo come avevi fatto a nascondere quell’abbondante cuscinetto fino a quel momento.

L lo faceva sempre. Ogni benedetta volta. Come se avessi bisogno di un promemoria di dove si trova distribuito il mio sovrappeso.
Mentre Alex, assolutamente disinteressato a quello che io ho da dire, accompagna le mie mani sul bordo della sua maglia e mi aiuta a levargliela, io penso ad un’unica cosa. Non voglio sentirmi umiliata e non voglio sentirmi insicura. Voglio sentirmi bene con lui e voglio sentirmi una donna di serie A, almeno questa volta.

I suoi baci sulla mia pelle si fanno più rapidi quando, con un movimento del bacino, separa le mie ginocchia e ci si intrufola in mezzo con frenesia, ricordandomi che l’universo è contro di noi e, se non colgo l’attimo, rischio di andare di nuovo in bianco.
“Alex, stammi a sentire...”
“Parla!” la sua voce è quasi spazientita e le sue dita intrappolano il mio viso nella sua stretta per guidare la mia bocca dritta contro la sua, lasciando cadere baci prepotenti e frettolosi.
“Non si afferra.”

Lui si blocca per un secondo e quei suoi occhietti blu si fanno grandi e confusi:
“Che cosa?”
“Non si impugna niente. È questa la regola.” bisbiglio stringendo le mani attorno ai suoi polsi per poi accarezzarli piano; lui si lecca lievemente le labbra con aria riflessiva, inclina il capo e poi chiede:
“Che cazzo vuoi dire?”
“Non voglio che, mentre sei tutto annebbiato dalla tua mascolinità, ti metti ad afferrare parti di me a caso...” provo a spiegare sopprimendo una risata di fronte al panico che sfreccia per un attimo nel suo sguardo e capisco che non posso trovare un modo di spiegargli cosa non voglio senza suonare patetica e insicura e senza portare la sua attenzione proprio sui miei problematici accumuli lipidici.

“Non ho capito...” confessa infatti studiandomi con aria disorientata: “Potrò afferrare qualcosa spero...”
“No...”
“Neanche le tette?”
“Non chiamarle tette!”
“Come le devo chiamare... boobs?”
“Alex...”
“Posso o no?”
“D’accordo, diciamo che non puoi aggrapparti all’adipe ma che ammetto eccezioni...”
“Mi sembra un buon compromesso...” poi sembra scegliere di non approfondire cosa lui non potrebbe fare ma di concentrarsi su altro:
“Tu puoi afferrare, vero?” ridacchia speranzoso, gioendo quando annuisco.

Allenta per un attimo presa sulla mia vita e si allontana di qualche passo, salta sul bancone accanto a me, levandosi le scarpe, e porta una gamba dall’altro lato del bancone.
Mi tira a sé con un gesto deciso, fino a che il mio fianco non si scontra col suo corpo: basta una lieve pressione per riattivare ogni singolo ormone nel mio corpo e farmi sorridere soddisfatta alla constatazione dell’effetto che io, proprio io, stavo avendo su di lui.
La sua bocca è nuovamente premuta contro la mia in un bacio che diventa velocemente molto più forte, pretenzioso e irregolare: più le sue labbra sembrano non controllarsi contro le mie, più il mio istinto di strapparmi i leggings si fa prepotente.

Rispondo ai suoi tocchi smettendo di pensare e sentendo solo il sapore delle sue labbra contro la mia lingua e, per non so dire quanto, l’unica cosa che i miei sensi percepiscono è Alex.
Poi, ammiccando contro la mia bocca, le sue mani premono contro il mio corpo, sulle mie spalle, e pochi secondi più tardi, mi ritrovo sdraiata sul bancone della nostra cucina con il mio coinquilino che come un gatto si sta allungando sopra di me, lasciando baci illegali lungo la strada. Spinge le mie ginocchia lontane l’una dall’altra, distendendosi completamente sopra di me con quel sorrisino compiaciuto che è ormai un marchio di fabbrica. E, dopo un brevissimo momento di stallo, capisco.

Sto per fare sesso sul bancone della mia cucina. E la cosa mi inorgoglisce schifosamente.
L’ho sempre voluto fare su questo maledetto bancone, ma mi bloccava il pensiero che ci faccio colazione sopra. E l’iniziativa più ardita di L è stata di propormi con insistenza la doccia come setting alternativo.

Ma Alex non me l’ha proposto: Alex non me l’ha chiesto. Lui mi ha invitato a farlo, senza parole, solo con le carezze. E il mio corpo ha risposto a quelle: il mio corpo è assolutamente d’accordo. Mentre la sua bocca si sposta dalla mia per scendere verso le spalle, però, sembra avere un’illuminazione: si ferma, si mette in ginocchio - donandomi la visione del suo appetitoso petto nudo - e mi sfiora l’ombelico.

“Dammi il tuo telefono.”
“Perché?!”
“Fallo e basta, Sofia!”
C'è una punta di autorità nella sua risata che mi porta ad obbedire. Sbuffando, mi ritrovo ad arrotarmi sul fianco in un movimento agile quanto un ippopotamo: infilo la mano nella borsa appesa alla sedia, recupero il mio cellulare e glielo passo.

Lui sorride come se gli avessi appena regalato un pacco di orsetti gommosi e, posando gli occhi sui miei, lo spegne. Poi fa lo stesso col suo.
Lo osservo con curiosità perché non capisco tutta questa fretta di disconnettere i nostri telefoni ma, quando lo vedo scendere dal bancone e staccare prima il telefono di casa e poi il ricevitore del citofono, capisco.

“Basta interruzioni. Ora si fa come dico io.”

E torna a sdraiarsi su di me, riprendendo da dove ci eravamo fermati.
Le mie dita impazienti si fanno strada sul suo corpo, fino a trovare il bottone dei jeans. Quando lo faccio saltare abbassando poi piano la zip, faccio scorrere le dita sul cotone che si scopre, accarezzando Alex attraverso il tessuto: al mio tocco lo sento smettere di respirare e soffiare contro il mio collo qualche cosa in inglese che non riesco a capire, ma che mi fa sentire in paradiso.

I minuti passano, scanditi solo dalle carezze e dal sangue che mi pulsa insistente contro le tempie, fino a che lui non sussurra il mio nome, spezzando il bacio e premendo lentamente un dito contro le mie labbra.
“Med...”
Poi comincia a ridere con il viso nascosto contro la mia spalla e reggendo il suo peso sui gomiti.

Che cosa c’è di divertente?

La sua risata, prima silenziosa e lieve, si fa piano piano più forte, meno controllata e vibra contro la mia carne: cosa cazzo ha da ridere come un cretino?
Io sono qui, seminuda, eccitata come un cammello e convinta di aver dato fino ad ora il meglio di me, e lui sembra avere un attacco respiratorio, tanto si sta divertendo.

“Cosa c’è? Che ho fatto?!”
In un primo momento lui non mi risponde e io, stizzita, gli tiro piano i capelli, pretendendo una risposta: solleva il viso e non sembra riuscire a smettere di sghignazzare. Ha persino le lacrime agli occhi.
“Alex...”
Fa uno sforzo sovrumano per spegnere lentamente la sua risata e poi fa schioccare le labbra sulle mie, inspirando dal naso.
“Cosa è successo?”

“Ho un problema...” ridacchia accarezzandomi un orecchio e continuando a divertirsi come un matto.
“Che problema? Che c’è?”
Lui resta zitto per un po’, cercando di sopprimere l’ennesimo ghigno, per poi confessare:
“Ho l’ansia da prestazione.”

È uno scherzo? Mi sta prendendo per il culo? È stato un mandrillo con l’ormone volante fino a ieri e ora che stiamo per battere chiodo, mi dice che gli si è rotto l’impianto idraulico?

“Stai facendo cilecca adesso?!”
“Non sto facendo cilecca... Oddio, magari sì...” e riprende a iperventilare per il divertimento.
“Alex, non è divertente!”
“È esilarante! Mi sono vantato come un coglione di fare magie sotto le lenzuola e poi mi viene l’ansia da prestazione."

Adesso: so che le donne dovrebbero mostrarsi comprensive e affettuose in queste situazioni, ma io voglio il mio sesso. E lo voglio ora!

“Senti, fatti una camomilla perché questa è l’ultima volta che ci proviamo: se non vai in buca oggi, io rinuncio!”
Mi metto a sedere, costringendolo a seguire i miei movimenti e non riuscendo a controllare il broncio sul mio viso, cosa che lui trova esilarante.
“Non sei per nulla comprensiva...”
“Se mi dici che non ti funziona perché tieni troppo a me, giuro che te lo rompo del tutto.” biascico schivando la sua mano che cerca di catturare il mio viso e sbuffando.

So che sto facendo i capricci, ma non è che questo evento aiuti la mia autostima!

“Non ho detto che non mi funziona! Ho detto che ho l’ansia...”
“Ma di che cosa?! Anche la tua peggior prestazione otterrebbe un punteggio altissimo rispetto a quello a cui sono abituata!” mi lagno facendolo ridere di nuovo.

Non è che bisogna essere dei re del porno per fare meglio di L.
Alex si muove con agilità, scendendo dal bancone e portandosi di fronte a me per riprendere a baciarmi, nonostante le mie proteste.
E lo fa fottutamente bene, il che rende la sua ansia da prestazione ancora più ridicola.

Con i suoi baci riprendo a rilassarmi e le mie braccia si muovono fino a trovare le sue spalle.
“Ti prego, dimmi che ti stai rianimando...”
Alex sghignazza ancora una volta e ricambia il mio abbraccio, annuendo piano: sento le sue dita sulla mia schiena e, pochi secondi dopo mi accorgo che ha fatto saltare il gancetto del reggiseno.

Sopprimo l’ennesimo sussulto di panico che si fa strada dentro di me per il timore che le mie tette siano, in realtà, più cadenti di quello che mi ricordo:
“Andiamo in camera.”
“No.” protesto stizzita, premendo il mio petto nudo contro Alex per cercare di nascondere alla sua vista i difetti del mio corpo. “Io lo voglio fare qui."

La cucina è perfetta per noi. Riflette chi siamo e cosa amiamo; è il nostro terreno comune. È il luogo in cui siamo entrambi a casa ed è quello in cui sento di aver visto più di Alex.
Non c’era un posto più azzeccato per la nostra prima - e spero non ultima - volta.

Mi sussurra di non muovermi e promette di tornare subito prima di zompettare come un grillo verso camera sua, suppongo a caccia di precauzioni.
Pochi secondi dopo è di nuovo tra le mie braccia, sghignazzando come un cretino e baciandomi come se fossi la cosa più gustosa del mondo, mentre sale per l’ennesima volta su di me e, nel processo, si sbarazza anche degli ultimi indumenti che ci separavano.

Non ho il tempo di imbarazzarmi e non ho modo di far scorrere gli occhi su di lui perché, con due baci, ho di nuovo perso la capacità di concentrarmi: non so più se il tempo attorno a noi si è fermato o no ma, tra una carezza e un sospiro, mi trovo ancora con la schiena premuta sul marmo gelido e il calore di Alex su di me.

God, I want you so bad...” sussurra contro le mie labbra e le sue parole spengono l’ossigeno nei miei polmoni.

Lui vuole me. Vuole davvero me, non il sollievo che un po’ di squallido sesso può dargli. Vuole me, con la mia orribile personalità e i miei chili in eccesso.
Non mi ero mai sentita desiderata così, con tutta l’emozione che sento nella sua voce e con l’attenzione con cui le sue mani sfiorano la mia pelle. E questa consapevolezza mi fa agitare come se fosse la mia prima volta.

All’improvviso mi sento di nuovo insicura e la paura di non essere all’altezza si fa più reale quando il suo corpo si fonde con il mio: è un movimento lieve, gentile e delicato. Si muove lentamente, lasciando che la pelle dei suoi fianchi sfiori molecola dopo molecola l’interno delle mie cosce e il solletico del suo corpo sul mio diventa una dolorosa attesa che precede il disciogliersi di un calore che non so raccontare: così dolce, così scivoloso, così completo che sento ogni frammento della mia pelle rispondere a lui.
Una delle sue mani si sposta sul mio bacino, accompagnandolo verso il suo e nello stesso momento lo sento lasciare scorrere piano il ventre contro la mia carne, succhiando le mie labbra allo stesso ritmo con cui i suoi fianchi trovano i miei.

È una percezione così intensa che la scopro diffondersi dall’epidermide fino a dentro, la assaporo sulla lingua, la avverto assordante nelle orecchie e involontariamente, mi irrigidisco: allora Alex si ferma, baciandomi piano e accarezzandomi il collo con le labbra, conscio del mio improvviso nervosismo.

“Tutto okay?”
Sono più che okay. Sono incredula, suppongo.

Un cenno della testa sembra rassicurarlo e lentamente ogni cosa attorno a me diviene inconsistente, ovattata: ci sono solo Alex e i nostri movimenti lenti.
All’inizio sento le mie mani che tremano mentre gli accarezzo la schiena: i miei polpastrelli si nascondono tra i capelli morbidi che sembrano raccontare le sue reazioni a me. Mentre li sfioro e il suo respiro si spezza contro la mia gola, li sento alzarsi tra le falangi e li stringo con energia: una delle mie mani si muove involontariamente lungo il suo collo, seguendo il contorno della sua mandibola per arrivare ad accarezzargli la guancia calda e tesa. Quando scorro l’indice sul suo zigomo, un sospiro sfugge dalle sue labbra e il mio nome esce appena accennato insieme al suo respiro.

Stringe delicatamente le dita contro la carne del mio ginocchio, violando la regola che avevo imposto, ma sapere che è il suo modo di chiamarmi sua mi rende più audace: affondo le unghie nella sua nuca, tremando ogni volta che un impercettibile freddo accarezza la mia pelle quando i suoi fianchi si allontano dai miei, per tornare a baciarli pochi attimi dopo.

Ed è di nuovo calore. È ancora morbidezza. È sempre più sapore.

Le mie unghie lambiscono ogni centimetro della sua schiena: è una discesa calma, energica. Affondo nella sua pelle, sentendola increspare appena e trascino le dita lungo il suo corpo, diventando più vigorosa quando incontro una delle scapole e recuperando delicatezza sull’incavo appena prima del bacino. Lì mi fermo più a lungo per accompagnare il suo movimento contro di me.
Poi torno a esplorarlo piano, rallentando fino a trovare la curva tornita dopo i suoi fianchi, stringendo i polpastrelli attorno alla sua carne: faccio pressione invitandolo a trovare di nuovo una sintonia più profonda con me e ottenendo in regalo un bacio violento.

Il marmo è freddo e scomodo e per un secondo dubito di riuscire a seguire i suoi movimenti: ma le mie preoccupazioni si fanno polvere quando lo vedo ridere della nostra mancanza di sincronia e lo sento sussurrare di stare calma.
“Med, va tutto bene…”
“Sì, benissimo.”
“Perché sei così tesa?”
“Non lo so…” rispondo con onestà e le sue mani si spostano sul mio corpo con la stessa delicatezza con cui lui si muove con me, anche se le sue parole e le sue carezze non aiutano molto a farmi calmare.

Forse è la sensazione di essere sua finalmente. Anzi, probabilmente è più il fatto che lui sia mio: il modo in cui si lascia baciare, in cui cerca il mio tocco, quello in cui sfiora il mio corpo come se dovesse trattarlo bene.
Più le mie molecole si tendono, più il mio corpo diventa sensibile ad Alex e percepirlo così intensamente rende ogni mio senso più vivo.

“Sofia…” sussurra lui strofinando con languore il naso contro la mia clavicola e sentirgli pronunciare il mio nome così e adesso mi fa ridere.
“Dimmi Alexander…” rispondo sogghignando e la vibrazione ci fa perdere la sincronia per l’ennesima volta.

Lui si unisce a me nella risata, sollevando il viso e fermandosi su di me: mi fissa per qualche secondo dritto negli occhi, poi muove lentamente il bacino ed io non riesco a controllare le palpebre che si chiudono, assaporando i suoi gesti attenti.
“Apri gli occhi, Med…” è una richiesta appena sussurrata, ma il mio corpo non risponde ai miei ordini. Il caldo che irradia da lui sembra l’unica cosa che guida il mio essere e, quando si china sul il mio viso, il ricordo di Armani Code mi avvolge impercettibilmente e mi guida verso il suo collo: accarezzo il naso sulla sua pelle, alla ricerca disperata di quel frammento che, per un attimo, ha invaso il mio respiro. Poi la sua voce, leggermente tremante, mi distrae di nuovo e la sua richiesta fa diffondere un tepore ancora più penetrante nel fondo del mio ventre:

“Baciami…”

Sembra stupido, ma sentirgli chiedere di essere baciato mi fa sentire importante, come se lui avesse bisogno di me: è una realtà nuova, una gratificazione che non conoscevo. Quello che Alex mi sta facendo provare in questo momento tinge il sesso di sensazioni che non conoscevo.
 
I secondi passano e si fanno respiro quando smetto di preoccuparmi e mi decido ad assaporare lui.

Noi.

E, contro ogni mia previsione, siamo prefetti: imperfetti e impacciati a tratti, incerti e fuori tempo in alcuni momenti, ma sono a mio agio come non mi era mai successo con L. Le carezze ogni tanto si spezzano in risate e i suoi baci a volte mi fanno il solletico, ma il mondo si ferma e il mio corpo parla con il suo in un modo che non pensavo fosse possibile.

È tutto delicato, tiepido e piacevole.

Rido e mi sento viva. Il sesso non era mai stato divertente, non era mai stato ridicolo: ma con lui sto scoprendo una nuova me, che non si preoccupa di un atto meccanico ma che si diverte e ride mentre cerca una sintonia così difficile da trovare. La timidezza e l’incertezza svaniscono e lui diventa il mio complice, non il mio obiettivo.

Sento lui e sento me stessa più di ogni altra cosa al mondo. Per il tempo in cui siamo un’unica cosa il mio cuore accelera insieme al sangue che si diffonde nelle mie vene: il suo respiro affannato e spezzato diventa ossigeno per me, si fonde sulle mie labbra, posandosi leggero sulla punta della mia lingua e rendendo il gusto di Alex amplificato fino ad entrarmi nella pelle, correndo lungo i miei nervi, giungendo potente fino all’incontro di noi.

Laggiù. Dove non so più dire dove finisce lui e dove comincio io. È una cascata di calore che ha il sapore della sua carne che si appoggia alla mia, della sua pelle che sfrega contro la mia sempre più piano, ma più a lungo, come qualcosa che non riesco ad afferrare del tutto.

È lì, proprio, ad un niente da me: si fa rincorrere e si fa aspettare per non costringermi a smettere di sentire. Toccare. Assaporare.

Poi la sua pancia tesa si abbandona sulla mia per un secondo di troppo e, all’improvviso, mi trovo a respirare in modo affannato e a percepire i muscoli del mio corpo tendersi con una scossa che si scioglie in calore e, contro volontà, le mie cosce si stringono con dolorosa forza attorno ai suoi fianchi, animate da uno spasmo costante mentre tutti miei muscoli si contraggo attorno a lui. È il mio corpo che lo tira a sé, che lo avvolge, che lo tiene vicino con prepotenza e gratitudine.

Contratto. Rilassato.

Come se non sapesse se tenerlo stretto più a lungo o lasciarlo andare del tutto. Come se non capisse se lo vuole con sé o lontano da sé.
Le orecchie mi si tappano, o forse l’urlo del mio corpo è troppo forte per sentire altro. Le guance sembrano scottare, le mie dita diventano più sensibili alla morbidezza della sua pelle e le mie narici inspirano un odore che sa di piacere. Non vedo nulla e, nello spasmo interminabile, chiudo gli occhi percependo il caldo che si solidifica in piccole macchie di luce nel buio che pulsa sotto le mie palpebre.

Attento a ciò che il mio corpo gli sussurra, Alex si ferma per un momento, baciandomi forte e intrecciando le nostre dita, mentre il mio cuore cerca di tornare a battere ad un ritmo costante e il mio respiro si fa più lungo.

“Porca puttana.” esclamo in modo decisamente poco elegante e lui scoppia a ridere, affondando il viso contro la mia pelle e aspettando che io mi rilassi abbastanza da permettergli di ricominciare a muoversi.

That was fast...” sussurra stupito dalla rapidità con cui il mio corpo ha risposto al suo.
“Te l’ho detto che io sono veloce.” sghignazzo soddisfatta, prima di baciarlo e lasciare che recuperi il tempo perso e riprenda il ritmo leggero che, poco fa, mi ha tolto il controllo su me stessa.
Alex si prende il suo tempo e sentirlo con me, percependo il suo corpo che si tende e si rilassa, sembra dilatare lo spazio: non so per quanto i suoi respiri scandiscono i miei minuti ma, mentre incontro i suoi gesti e le mie dita corrono sui suoi capelli, i suoi denti mordono lievemente le mie labbra e la sua reazione a me diventa la cosa più bella che abbia mai assaporato.

Quando sussurra “Shit...”, sollevandosi per reggere il suo peso e rallentando, cerco di accompagnarlo come ha fatto lui con me, baciando la sua pelle e accarezzando il suo viso: stringe gli occhi con forza e smette di respirare per un secondo, abbassando la testa per incitarmi ad accarezzarlo ancora e ancora, mentre le sue braccia cedono. Si appoggia delicatamente contro di me, cercando veloce le mie labbra e, mentre mi bacia, riprende a sorridere.

“Dio mio...”
“Preferisco se ti rivolgi a me come a una donna.” scherzo premendo i polpastrelli contro la sua pelle per tenerlo vicino più a lungo e lui soffia l’ennesima risata sulla mia bocca.
Il silenzio si espande piano tra di noi e l’unico rumore che posso percepire è quello del suo cuore che pulsa contro di me: non si muove, rimane disteso sopra di me, accettando ogni carezza che accompagno sulla sua schiena e facendo scivolare ogni tanto le labbra sulla mia spalla.

È qui, ancora fuso con me mentre cerchiamo di ritrovare un respiro regolare e mi rendo conto che anche questa parte è nuova: nella mia vita intima, di solito, al piacere seguiva un senso di disagio, alimentato dal non sapere che gesti fare, se restare o alzarmi.

Per la cronaca, con L finiva sempre che, una volta ottenuto quello che voleva lui si spostava e si rivestiva, levandomi dall’impiccio di capire che posto prendere nei minuti successivi.
E invece Alex non accenna a muoversi: resta disteso contro la mia pelle, respirando il mio odore e dicendomi piano:
“Sai di buono.”
“So di te, cretino.”

Sollevo il suo viso, guardandolo dritto negli occhi, confesso:
“Dio, se ne valevi la pena.”

E il sorriso che si anima sulle sue labbra è qualcosa che non avevo mai conosciuto.


PS: la foto viene da qui http://www.pinterest.com/pin/65935582018157273/

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