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martedì 29 dicembre 2015

Le somme dell'amicizia (web e non): il bello e il brutto che c'è

Siccome è fine anno, si tirano le somme. Di solito.
Non sono mai stata troppo brava a gestire gli ultimi giorni dell'anno: i propositi - se li faccio - sono irrealistici e i bilanci sono confusi. Perché non mi viene mai in mente molto.

Ieri sera, a una cena con le amiche storiche, si parlava proprio di questo: ricordare gli eventi importanti dei nostri anni.
Io non lo faccio. Incredibilmente, raggiunto un traguardo, vado oltre: è davvero raro che guardi indietro a quel giorno e, ho pensato, questa è una cosa davvero triste.
È triste, perché raggiungere un traguardo richiede una buona dose di energia e dovrebbe essere un orgoglio... ma - e qui sta il lato postivo - io sono parecchio sul qui e ora quando si tratta di eventi concreti. Non sono sul qui e ora su poche cose, tra cui gli affetti. La nostalgia dei rapporti è una delle poche cose a cui ripenso a fine anno: ci sono persone che ti mancano in modo indescrivibile e altre che - se hai avuto la fortuna di ritrovarle - sono il tuo bilancio di fine anno.

Nella mia storia Med ha 3 amici particolari: Bet, Jules e Leo.
Questi tre personaggi sono, come ho sempre detto, ispirati a persone esistenti.
Ispirati significa che non sono esattamente tre idioti come quelli che ho raccontato io, ma è la loro "anima", il loro valore nella vita di qualcuno e l'essere speciali per qualcuno che si riflette nei miei personaggi. E i capelli: Bet è bionda (Leti, BIONDA, non mora), Jules è mora e riccia e Leo è moro, con gli occhi azzurri e il tatto di un bue.

Perché vi parlo di loro tre a fine anno? Perché per diversi anni della mia vita due di queste tre persone non hanno più fatto parte del mio mondo e mi sono mancate più dell'aria.
Questo 2015, però, è stato diverso: sono successe tante cose nella mia vita (qualcuna buona, molte altre meno) e queste tre belve hanno ritrovato tutte il loro posto in me. O meglio, un posto nuovo. Migliore. A tappe, intendiamoci: l'anno scorso ne avevo di nuovo due, ma ne mancava una. Oggi non è più così.

Una delle tre, poiché la vita vera è cattiva, si è trasferita in una città molto lontana da me, ma non è cambiato nulla: ieri sera era comunque sul mio divano ad abbracciarmi e a bere vino con me. Perché quando un rapporto ha sfidato tutto (l'adolescenza, l'università, cose molto più brutte) qualche chilometro e il non vedersi ogni settimana non fa alcuna differenza.

Un'altra ha fatto il viaggio più bello di tutti, un viaggio di puro amore, e mi ha permesso di essere lì ogni secondo di questo viaggio: mi ha coinvolta di fronte ad una tazza di cioccolata e, settimana dopo settimana, abbiamo ritrovato ciò che eravamo dal 1996. Semplicemente, noi. Senza filtri, senza paura del giudizio, senza timore di dire "non ce la faccio. È troppo difficile."
Senza trucco e con i jeans buchi, sul divano con un pezzo di vita tra le braccia e una canzone sussurrata. Le lacrime non sono una vergogna, quando scorrono di fronte a qualcuno che non giudica la ragione per cui scendono. Perché da grandi la vita vera è diffcile, le responsabilità fanno paura, l'incertezza ancora di più. "Ho paura" trova come risposta solo un "Vengo da te". E ci vai, davvero: a qualunque ora, anche quando non sai neanche tu cosa bisogna fare. Ci vai, perché per quella persona sei disposta a imparare cose incredibili; a provare; a ascoltare ogni parola; a non aver bisogno delle parole.

Poi c'è la terza persona. La più idiota (se possibile). In questi anni c'è stata, ma non come oggi. C'era quando, quattro anni fa mi sono svegliata dall'anestesia, perché lavorava lì. Era lì con mia madre quando ho aperto gli occhi e detto qualche incomprensibile minchiata sul suo camice bianco (e sul fatto che non avevo il reggiseno).  Quella con cui, dopo tanti anni, mi sono trovata a fare ancora le 4 di mattina in macchina a parlare. Parlare sul serio: di emozioni, affetti, a dire la mia e sentire che non stavo parlando a vuoto, che qualcuno stava davvero ascoltando le mie parole, le faceva sue e stava pensando cosa fare. Perché parlare di certe cose non è facile: quando si va sul piano emotivo spuntano una serie di blocchi, l'impressione di essere in un film. È molto più semplice discutere del nulla. Con alcune persone più che con altre. Eppure, questo 2015, io ho ritrovato anche questa usanza: film che solo noi due possiamo andare al cinema a vedere ogni settimana, confronti a cuore aperto, dire "mi manca quello che eravamo" e "sono felice che ci siamo ritrovati". Dire "ti voglio bene" ad alta voce. Non aver paura di dire "Sei imbecille: metti da parte l'orgoglio. Se io non l'avessi fatto e non avessi messo da parte quel disastroso Natale, ora non saremmo qui in macchina" e sapere che non è cambiato niente e l'unica risposta che sentirai sarà "No". Perché la vita cambia, ma certe cose restano le stesse, ad esempio i "Leo".

I bilanci buoni degli affetti sono quelli che, a fine anno, ti fanno pensare che hai visto 5 matrimoni di amiche che conosci da quando avevi 5 anni, che hai visto nascere un bambino, che hai trovato l'amicizia insieme alla musica, che hai sentito molte amiche parlare di gravidanza (DIO ME NE SCAMPI, SE PENSANO DI RESTARE TUTTE INCINTE CONTEMPORANEAMENTE COME HANNO FATTO CON I MATRIMONI), che abitare a New York non ha corrotto di un grammo la bellezza di un'amicizia di quasi 25 anni, che hai ritrovato il ragazzo che ti faceva incazzare come una iena a 16 anni e che - dopo tanto - sai che è l'unico essere col cromosoma Y che hai chiamato "migliore amico". Ci metti anche le amicizie "virtuali", nel bilancio buono: perché non è facile guardarsi indietro e vedere che hai costruito davvero rapporti sinceri, profondi e reali con persone conosciute via etere. E, a quelle poche persone conosciute via WEB e che - dopo qualche anno - ancora sono con te, tu vuoi davvero bene. Con qualcuna sei persino andata in vacanza (due volte!) con la tua famiglia.
Lì pensi che, alla fine, se ci metti la dedizione e il cuore, internet è solo una forma moderna di bar e le sue pontenzialità sono splendide.

I bilanci buoni dell'amicizia sono il meglio di fine anno: ti fanno capire che alcuni rapporti sono fatti di un tipo di amore tanto perfetto che non può smettere di esistere. Si rimodella, prende una forma nuova dopo i più brutti scontri, le liti più subdole, le separazioni più lunghe e le distanze più dolorose. È lì che pensi che l'amore è proprio una roba indissolubile, quella cosa che batte anche la fisica: quando capisci che, per tornare insieme, ha abbattuto tutti gli ostacoli emotivi, del tempo e della vita.
E tu lo sai che, per quella forma di amicizia, faresti qualunque cosa. Qualunque cosa.

Ma a fine anno un pezzettino di bilancio lo dedichi anche alle "cattive amicizie". Un pensiero solo, per quelle, perché non valgono molto: a volte investiamo pezzetti di cuore in persone che non lo vogliono. O meglio, fingono di apprezzarlo, ma in noi non stanno investendo nulla di sé, solo la propria vanità. Purtroppo, la nostalgia ti fa tirare le somme anche su queste, a fine anno. Quelle che ti vedono solo quando fai loro da sostegno; quelle che non sostengono te e i tuoi piccoli tentivi; quelle che ti tengono fino a che non trovano qualcuno più bravo di te in qualcosa; che vedono solo se stesse, le proprie abilità e le proprie necessità. Quelle che hanno un giudizio per ogni cosa, che non sono trasparenti, che non vedono la tua luce, che non sentono la bellezza dell'amore che tu dai loro.
Ecco, a fine anno io a quelle persone vorrei solo dire che le vedo: le vedo da un po'. Che non rimpiango l'affetto che ho dato loro e che lo farei ancora se sapessi che quello che dono ha per loro un valore. Perché di cuore ne ho uno e, non avendo l'amore, l'ho sempre investito tanto nell'amicizia: ma è pur sempre uno solo e io penso fermamente che ogni pezzetto di esso che dono abbia un valore immenso. Se per queste persone non vale nulla, me lo riprendo volentieri e lo conservo per chi lo apprezza.
A 31 anni sono stufa di investire in persone che non investono in me; di voler il bene di persone che me ne vogliono solo quando serve a loro; di cercare di costruire rapporti da sola; di sperare di essere vista. Conservo i ricordi di quando credevo fosse qualcosa di vero, prendo coscienza di ciò che è reale e guardo avanti.

Niente propositi per il 2016: non li faccio da tempo.
Solo una speranza: che l'anno prossimo a quest'ora io possa avere ancora qualcosa di meraviglioso sull'amicizia da raccontare.

Una piccola speranza per le mie passioni: che scrivere torni ad essere qualcosa che riesco a fare (anche se in modo mediocre) e che, con quello che scrivo, io possa raccontare l'amicizia come la vedo oggi e che riesca a far ridere qualcuno proprio come rido io con alcuni di questi amici.

Sul lavoro e sull'amore non metto nulla perché sono fottutamente scaramentica e temo di portarmi sfiga da sola.

E con 'sto attacco di logorrea (i mei amici sanno apprezzare persino quella, pensate un po'!) vi saluto e, per adesso, auguro un buon martedì... E un delizioso fine anno senza petardi, che la mia Maia si caca di brutto quando sente i botti.

martedì 17 novembre 2015

In the arms of an angel



"And everywhere you turn
There's vultures and thieves at your back
The storm keeps on twisting
Keep on building the lies
That you make up for all that you lack
It don't make no difference
Escaping one last time
It's easier to believe
In this sweet madness
Oh this glorious sadness
That brings me to my knees
In the arms of the angel
Fly away from here
From this dark cold hotel room
And the endlessness that you fear
You are pulled from the wreckage
Of your silent reverie
You're in the arms of the angel
May you find some comfort here"


Avevo postato questo link su FB in precedenza: poi non ero del tutto convinta e ho cancellato sia il link che il post annesso.
Io stessa ho usato troppo le parole: purtroppo sono una persona che si inalbera facilmente e - molto spesso - posto altrettanto in fretta quando non dovrei. Ho sempre pensato che essere impulsivi fosse un difetto; un difetto che, in alcune circostanze, posseggo.
Mi sto dilungando quando, in origine, volevo solo includere il testo e la canzone: il fatto è che ho sentito ancora una volta il bisogno del mio spazio, di quel posticino in cui posso passare e scrivere cose insensate e che smetteranno di appartenermi subito dopo. È da qualche giorno che questo blog mi manca: no, non mi sono improvvisamente svegliata con l'illuminazione e ho finalmente trovato una ragione per cui questo posto può esistere. Ho semplicemente pensato che alcune cose per essere dette e non perdersi all'istante, hanno bisogno di una casina. Per oggi il blog viene scongelato... Poi si vedrà.

In ogni caso, il post voleva solo essere un'espressione senza i filtri delle mie inutili parole: ho sempre pensato che questa canzone sussurrasse tante cose oltre alle parole del testo. L'avevo cantata secoli fa ed è sempre rimasta nel mio pc... Ora è fuori solo perché in certi casi con le canzoni si parla meglio che con le parole. Nel mio caso, oggi è così.

NB: Quasi sicuramente tra mezz'ora mi sarò pentita di questo post e di questa cover e tornerò alla modalità freezer... Non vogliatemene: ormai sapete che sono un'inetta.


lunedì 5 ottobre 2015

Sometimes you just have to give up

No, non scriverò un post in inglese (anche se non è da escludere che scriverei meglio in inglese... il che è tutto dire)... Ma la frase rende meglio così.
Oggi è lunedì e il lunedì si tende a pensare, sentire e vivere male. Di norma io provo a respingere il polo negativo del primo giorno della settimana: a volte mi va bene, altre fallisco miseramente.
Sono le 10:23 e per ora la lunedite si è insinuata per bene in me.

C'è da dire che, come previsto, se due settimane fa avevo avuto soddisfazioni sul lavoro, con la musica e ero riuscita a tornare a scrivere, la scorsa settimana è stata per me una settimana infernale su ogni fronte (oltre a quelli elecanti) a parte il lavoro. Quindi non è da escludere che io mi porti dietro della negatività residua.

Comunque.


Sono sempre stata una che faceva fatica a arrendersi, a mollare, a abbandonare ciò che pensava fosse bello. Sempre. Ho sempre pensato che se qualcosa ti aveva dato gioia per un po', valeva la pena di essere preservato, riconquistato, coltivato.

Le persone come me, però, sono incredibilmente moleste, perché non capiscono quando è ora di mollare.
Ogni tanto, però, anche quelli come me comprendono che non tutto può restare o tornare ad essere quello che era.
Oggi mollo un po' di cose; oggi, complice il lunedì, non credo che tutto debba essere tenuto; oggi penso che, forse, posso mettere da parte i miei patetici tentivi di tenere vivo tutto... Oggi smetto di essere molesta. Oggi, la conquista è saper dire basta.

È innegabile che, a volte, vorremmo portare indietro le lancette a quando una cosa funzionava, era vera e aveva un senso: ma il cambiamento è anche questo. Le relazioni si modificano, le idee assumono forma e valore diverso, le strade si biforcano.
Ci ripensi, ogni tanto, a quello che era: a quanto di te hai investisto per qualcuno o per qualcosa, a quanto ci credevi. A quanto, in alcune occasioni, sei stato ingenuo. A quanto capita di sopravvalutare sé e le cose.
Ci sono stati, nella vita di tutti, dei giorni in cui la ruota delle cose e degli affetti girava bene: quelli sono ricordi che vanno conservati con tenerezza, non con amarezza. Ci sono stati regalati per permetterci di cambiare qualcosa; ognuno di quei giorni, ogni parola serviva per portarci un po' più in là. È indubbio che "cedere" ad un cambiamento che non ci piace sia difficile, ma non di meno necessario.

Le cose che non funzionano, si aggiustano; quelle che non si possono aggiustare, si lasciano indietro.

Io oggi chiudo, tra le altre cose, il blog.
Lo chiudo perché non è un blog. Lo metto in pausa, perché non voglio perdere le tracce di quello che è stato per me: ogni post scritto nasceva da una parte di me che in quel momento aveva un valore preciso... Va conservato, ma va conservato per me.
Non ha mai davvero funzionato: se non per qualche post ridicolo e per qualche altro di "prime volte", non è mai stato nulla di più che un posto in cui scrivevo parole a vanvera. Non aveva un senso o un tema specifico.
E, come troppo spesso capita con la sottoscritta, non era costante.
Ogni tanto ti fermi e pensi che, alla fine, ogni cosa ha fatto il suo corso... che le pezze non servono a molto e che "giving up" è solo una parte nuova di un movimento, di un cambiamento che non si ferma.

Il blog era nato per TuttoTondo... ma non è stato dedicato a TuttoTondo.
TuttoTondo è qualcosa a cui non rinuncerò fino a quando non avrò pubblicato l'ultima scena dell'ultimo capitolo: quella che è scritta da tempo. A TuttoTondo non penso che sarò mai in grado di rinunciare, nonostante la fatica e la qualità che si abbassa. Per TuttoTondo insisterò sempre... più per me, che per la storia in sé. Ma il blog, in questo momento, mi sembra qualcosa che tengo in vita ad agonizzare... Qualcosa che se ne sta lì nella rete, ignorato e dimenticato se non per qualche raro guizzo di vita.

Detto questo, non credo di fare torto a nessuno, se non al blog stesso al massimo.

Non lo cancello, perché magari un giorno riuscirò a dargli un nuovo senso e un nuovo scopo; ma lo chiudo, perché per ora ha solo l'aria di un diario, esposto a tutti senza un vero perché.
Se mai saprò dargli la forma di un posto in cui ridere, riflettere, apprezzare o scoprire qualcosa, lo toglierò dalla sua ibernazione... Per ora lo congelo: ho già troppe cose pubblicate e lasciate in sospeso.

Quindi, per oggi "I give up"... Non escludo di cambiare idea: siamo tutti in continua trasformazione e magari un giorno capiterà che io abbia davvero qualcosa di interessante da dire, qualcosa su cui riflettere o qualcosa da amare a parole. Oggi il lunedì mi fa pensare che questo posto abbia bisogno di dormire per un po'.


lunedì 21 settembre 2015

Ritorno alla scrittura: la paura di scrivere ancora e gli aggiornamenti.

Sfortunatamente questa mattina non posso mettermi a fare lughi post (in realtà, per chi legge è una botta di vita), perché tra pochissimo devo essere al lavoro.

Ma nell'utlimo anno e mezzo ho trascurato tutto quello che per me aveva a che fare con la scrittura: questo blog (su cui ho scritto solo in occasioni specifiche), la mia long, le mie storie e ogni idea che mi giungeva in testa. Per la prima volta da quando so leggere ho trascurato persino la lettura, lasciando il kindle spento per un'infinità di mesi: fino ad Agosto 2015, praticamente, non ho letto nulla... e non mi era davvero mai successo.

Due settimane fa avevo preparato un post per il blog, che però non ho pubblicato: era una riflessione sui siti di incontri... Sulle applicazioni che favorirebbero gli incontri.
Non l'ho pubblicato e non so neanche perché, ma forse è stato un bene.
Questa settimana, improvvisamente, ho aperto un documento vuoto e mi sono messa a scrivere: mi sono messa a scrivere una storia ispirata proprio da quel post sconclusionato.
E, se da cosa nasce cosa, dopo averla pubblicata è successo un altro miracolo in cui non credevo dal 2013 (perché, forse un giorno spiegherò cosa è successo, ma il piacere della scrittura, l'ispirazione e la voglia di scrivere sono venute meno nl 2013... per un evento, chiaramente legato alla scrittura.): gli ultimi capitoli erano stati tutti difficili da scrivere, ma dal capitolo 16 di TuttoTondo, non ero più riuscita a produrre nulla.

Ma torniamo a questa settimana: ho scritto questa one-shot e - non so neppure come - sono finita con incastrarla con una storia a cui tenevo tantissimo: Data di scadenza (cliccate per leggere).

E così mi sono trovata ad esplorare il punto di vista maschile della pressione sociale sull'amore... e dell'utilizzo dei siti di dating. Da qui:

“Uomo, 33 anni.” 
Come Gesù quando morì. Sono alla frutta.
“Bella presenza” 
Bella presenza non va bene. Bella presenza vuol dire brutto, ma che non fa vomitare. E le donne lo sanno.
“Lavoro stabile” 
Forse devo dire quale lavoro. Stabile potrebbe non attirare molto; magari vogliono il brivido dell’incertezza. Ma “programmatore informatico” temo evochi immagini costellate di capelli sporchi, acne, action figures e immaturità. E masturbazione. Non che alcune di queste cose non siano veriterire per la categoria, ma non so se è un buon biglietto da visita.
“Cerca compagna, affettuosa, a cui piaccia ridere e …”
Disperata quanto lui. No, così non va, sembra che sto cercando un barboncino. Un barboncino con senso dell'umorismo.

"Uomo, 33 anni. Introverso. Un po’ burbero."

È tutto quello che mi sento di scrivere senza sentirmi afflitto da livelli di sfiga inarrivabili. L’annuncio sul giornale è troppo.
A 33 anni Gesù è morto single, no? Augurandomi di andare oltre i 33, morirò single anche io. Per lo meno di questo è assolutamente certa mia nonna, la quale mi ha supplicato di pubblicare qualcosa sulla pagina degli annunci matrimoniali prima di farla morire di crepacuore.
Voleva che includessi maschi e femmine nelle preferenze:
«Se ti piace il fuco invece della fuca, va bene lo stesso. Non ascoltare tua madre. Andiamo in Spagna a fare il matrimonio, ma trovati qualcuno prima che io mi essicchi!».
«Nonna, non si dice fuca.»
«Si dice fica, lo so.»


Sono passata qui:
È difficile, tra maschi, ammettere che sei interessato a qualcosa di più del sesso: noi siamo cavernicoli, uomini duri che rifuggono i legami duraturi. Noi siamo i conquistatori, gli eterni ragazzini, quelli distaccati e che vogliono la loro libertà. Per un momento - più o meno breve - della vita, noi maschi siamo tutto questo: però a volte succede che, improvvisamente, tutti i tuoi amici hanno cominciato a sposarsi e alcuni parlano di bambini, di cambiare la macchina, di non poter uscire perché devono incontrare i futuri suoceri. E quando quello accade, ti rendi conto che non ti dispiacerebbe avere qualcuna di queste cose. Capisci che vorresti trovare qualcuno che le vuole con te, queste cose; qualcuno che non ti chiede di buttare via la Play Station, di portare la giacca la domenica a pranzo e di cambiare canale quando guardi The Walking Dead. Pensandoci, allora, capisci che, probabilmente, oggi sono poche le donne che ti chiederebbero di fare certe cose e che, forse, questa idea te la sei piantata da solo nella testa per giustificare le paure che avevi. Di impegnarti. Di restare da solo. Di diventare grande. Di diventare vecchio. 

E ne è uscita, appunto, It's a match!. C'è del romance, lo ammetto. Ed è comico e introspettivo, come mio solito.


Da questa One-shot, poi, l'impensabile: il girno dopo la pubblicazione, ho aperto il file di TuttoTondo e ho scritto come non facevo da anni. Non ho pensato a chi leggeva, non ho pensato a chi la giudicava, non ho pensato al'effetto wow o a cosa la gente poteva aspettarsi; ho solo pensato a me e alla mia storia. A quello che volevo raccontare quando l'ho iniziata. A quello che avevo da dire quando nel 2013 è venuto meno il piacere di scrivere.
Ieri sera, dopo che la Beta l'ha corretto, l'ho pubblicato. Dopo quasi un anno e mezzo ho aggiornato la mia long: la prima storia che mi ha fatto venire voglia di scrivere nella mia vita e quella che è diventata così difficile da scrivere in questi anni.

Ora, poco conta che - come è chiaro - dopo un anno e mezzo la gente non se la ricorda più e non la segue più; e non posso provedere se questo è stato un flash del passato o se la voglia di scrivere mi è tornata davvero. Quello che conta è che, almeno per una settimana, sono tornata a sentirmi bene con le mie storie; a non aver paura di scrivere e a non sentirle tutte sbagliate. Per una settimana le ho scritte e, santo cielo, per la prima volta da non so quanto, mi piaceva quello che scrivevo e mi piaceva scriverlo.


Ecco, tutto questo semplicemente per dire che non so se "tornata" davvero e quanto vorrei, ma qualcosa sono riuscita a farla e, quindi, è bene che segni la data sul calendario!

Quindi, ricapitoliamo i link:


Tuttotondo, Capitolo 17 (Importuni e In-opportunità): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3265971

Data di scadenza (vecchia, ma sarebbe da leggere prima della OS nuova): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1144227&i=1

It's a match!: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3261062&i=1

E, in ultimo, aggiungo il link a una OS, perché con l'inizio delle scuole e i racconti delle mie amiche mamme, stamattina mi sono trovata a scrivere il secondo capitolo di quella:

Un ultimo Natale: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2344266&i=1

Va detto, inoltre, che tutte le storie sono anche nel mio profilo su Wattpad,che io non amo molto, ma che pare essere più pratico di efp, soprattutto per l'utenza.

https://www.wattpad.com/user/MedOrMad

venerdì 1 maggio 2015

Di Fathers and Sons: padri e figli maschi.


Buon primo Maggio, gente che è felicemente a casa dal lavoro.
Tranne i signori della mia accademia di Yoga: loro lavorano anche oggi e mi avrebbero voluta in accademia a provare una lezione di "techno"... Che non so cosa sia. Ma giò il nome evoca un eccessivo sforzo.

In ogni caso, ho perso il binario: buon primo maggio e, come sempre, questo post nasce dal nulla, senza un vero scopo e senza sapere davvero cosa volessi dire.
Nasce perché tra una settimana torna in Italia fratelloh (purtroppo solo per 8 giorni) e, ogni volta che penso a fratelloh e padreh insieme, mi salta in testa "Father and Son" di Cat Stevens.
Anni fa andammo tutti e quattro a fare un viaggio on the road negli USA e avevo come piano originario di fare un montaggio video della vacanza, città per città: nel montaggio avevo deciso avrei incuso un video solo di papà e fratello con quella canzone di sottofondo. Il montaggio non l'ho ancora fatto, ma la canzone per me resta destinata ai due uomini della mia famiglia.

Per chi non la conosce, è probabilmente una delle più belle canzoni degli anni '70 e - ovviamente - racconta di un padre e di un figlio.
Il testo, per quanto mi concerne, è qualcosa di meraviglioso: è una sorta di diaologo e ho sempre pensato che sarebbe stato fico essere un maschio per poterla dedicare a qualcuno (in qualità di padre o di figlio)... Non racconta di un rapporto facile tra papà e figlio... Ma a me ha sempre toccato il cuore. SEMPRE:
Sarà la musica, sarà la voce di un padre che cerca di consigliare e sente di sapere, sarà la voce di un figlio che prova a parlare, a far sentire la sua voce... Il confronto di due generazioni che cercano di parlarsi.

Per chi mastica l'inglese, in fondo incollerò il testo (e vi invito fortemente ad andare ad ascoltare la versione originale di Cat Stevens), perché la musica del secolo scorso resta la migliore... E le canzoni d'amore più belle sono quelle tra genitori e figli. Di questo sono convinta.

Non ero online il giorno della festa del papà: non ero online neppure col cervello, come non lo è stato fratelloh, perché questo Marzo l'ha ricordato ad entrambi mamma che era la festa del papà.
Io ero qui fisicamente, ma la testa non l'avevo. Fratello era a Dubai, e sospetto che sia sconnesso dalle feste italiane. E allora ai papà ci penso oggi, io: ai papà che oggi non lavorano... e magari sono a casa o in giro coi figli.

Ecco, ho fatto tutto questo preambolo perché, come ho detto, venerdì arriverà fratelloh e in questi anni più che mai questa canzone è per mio Padreh e per mio Fratelloh... Testardi, rumorosi, tattofobici (in casa mia lo sono tutti, tranne me... Io sono appiccicosa e compenso per tutti), ma in fondo uguali l'uno all'altro.
Fossi maschio l'avrei cantata a padreh almeno una volta.
Fossi maschio l'avrei dedicata ad un figlio prima o poi.


Quindi, in piena emotività per il ritorno di fratello, l'ho cantata (con pessimi risultati, visto che sono femmina e beccare la tonalità di un maschio non è così facile per me) e la dedico - da donna che ha avuto sotto gli occhi un Father e un son per 31 anni - ai papà e ai figli.

https://soundcloud.com/morma-1/father-son-1

A quelli che si capiscono quando si parlano.
A quelli che non sanno comunicare.
A quei figli ancora troppo piccoli per mettere in discussione i padri.
A quelli che, troppo grandi, si pentono di aver messo in discussione i propri...
A quei papà che ogni giorno insegnano ai loro figli che "you're still young" "look at me, I am old, but I'm happy".
A quei papà che sanno cosa vuol dire essere giovani; che insegnano ai figli ad essere pazienti e a riflettere...
E a quelli che incoraggiano l'impulsività.
A quei figli che cercano di mostrare ai padri che sono uomini e possono fare da soli.
E a quei padri che, nonostante il tempo e gli anni sulla carta di identità, vedranno sempre nei loro figli dei ragazzini da consigliare e da guidare. Sempre.
E a quei figli che pensano di non avere più bisogno dei consigli di un altro uomo. Pensano.

Ai rapporti al testosterone: si amano, si scontrano, si spalleggiano, si accudiscono e si sgidano a vicenda. Perché i rapporti bellissimi, emotivi e di complicità e conflitto non sono solo quelli tra femmine...


E la dedico ai miei "father and son", perché tra una settimana si rivedranno e questa canzone sarà di nuovo e sempre per loro!

Link al testo: http://www.azlyrics.com/lyrics/catstevens/fatherandson.html

martedì 28 aprile 2015

Levare la ruggine: scrivere è come il sesso.

Tornare alla normalità e alle proprie abitudini dopo un lunghissimo periodo di stop è virtualmente impossibile.
Un po' come quando torni dall'Erasmus, strisciare piano nel mondo che ti sei lasciato alle spalle è sempre difficile.
È difficile per due ragioni: innazitutto, tu sei rimasto nella tua bolla, ma il resto del mondo è cambiato e capire in che modo si è modificato e come tu puoi adattarti è come cercare di pronunciare la j spagnola senza scatarrare. In secondo luogo, è difficile perché la sensazione di intorpedimento parte dal cervello e arriva alla lingua, alle dita, agli occhi.

Tornare è come svegliarsi da quel sogno che si fa periodicamente e non si ricorda. Lo conosci, non è la prima volta che ci hai a che fare, eppure non sia bene come gestirlo: lo ricordi? Lo sai di cosa parla davvero? Lo spapresti raccontare, visto che l'hai sognato più volte? Era sempre lo stesso o qualcosa è cambiato? Era una continuazione di quello che hai sognato in passato o hai dovuto ricominciare dal principio?

Io questa cosa del "ritorno al passato" la faccio periodicamente: in genere perché la situazione mi sfugge di mano.
Questo post non ha un vero significato. È il mio tentativo di oliare le dita, la mente e l'anima per tornare a mettere due parole in fila.

Agli scrittori non penso capiti, ma ai comuni mortali, quelli che fanno viaggi mentali e basta, credo succeda molto spesso di dimenticarsi come si fa a scrivere un pensiero, un'idea, una fantasia.
È facile scordarsi come si fa a sviluppare quell'idea: l'ultima volta che io me lo scordata, ho riscritto TuttoTondo dal principio.

Non ti ricordi più la voce dei tuoi personaggi e non sei più sicura di conoscerli così bene.

E poi, il peggio: sai che avevi avuto qualche idea interessante su cosa dovevi scrivere... avevi anche messo giù qualche appunto. Ma a distanza di tempo non è che abbia poi così tanto senso.

Ogni tanto penso che le volte in cui scrivo, lo faccio per esorcizzare me stessa: probabilmente non ho nulla di davvero interessante da dire agli altri. È possibile che abbia qualcosa da dire a una parte di me che se ne sta sdraiata supina sul fondo di me stessa, sovrastata dalla me molto più esuberante, polemica, rumorosa e disorganizzata. Forse ho una mente troppo disordinata per raccontare qualcosa di coerente... che sia coerente con se stesso e con me dal principio alla fine.

Altre volte, invece, penso che l'ostacolo a me stessa nello scrivere sia la cantilena che gira in testa ogni volta: "Non essere banale. Non essere scontata. Non essere pallosa.". Che poi, ad essere obiettivi, fare così è il modo più veloce per essere esattamente tutte le cose che non vorresti essere.

Non. Non. Non. NON. Un sacco di "non". 

Scrivere per me è un divertimento, nulla più... ma io ho un caratteraccio e, quando non riesco a fare una cosa, mi inalbero come un armadillo, faccio l'isterica e mi incazzo.
Sono Ariete. Detesto perdere. Detesto fallire. E, soprattutto, detesto non riuscire a fare quello che mi ripropongo di fare.
Detto questo, tornare a fare qualcosa di piacevole a volte richiede tempo... e qualche momento di disagio, prima di poterlo gustare ancora.

Ed è qui che il mio essere cazzara esce, vi avviso.
Anche quando non si fa sesso da un po', quando si ha la fortuna di avere nuovamente udienza con Eros, ci sono quei primi attimi di incertezza, di tentennamento, di fastidio.

Sì, sto dicendo che tornare a scrivere dopo qualche mese è come tornare a fare l'amore dopo un periodo di astinenza (sfortuna).

Prima di confermare la vostra idea su di me (cioè, che sono una vera imbecille), statemi a sentire.

In entrambi i casi:

1) all'inzio ti senti elettrizzata, perché puoi di nuovo farlo, eppure sei dubbiosa sul come farlo.
2) Quando cominci, le dita si muovono incerte e impazienti sulla superficie: vorrebbero saper scorrere con sicurezza e al ritmo giusto, proprio come l'ultima volta.
3) La mente è annebbiata dal desiderio di concretizzare, di fare, subito e bene! È intropidita dal bisogno. È confusa su come iniziare.
4) Quando inzia davvero, arriva il panico: "lo sto facendo bene? Nel modo giusto? È così che voglio che sia? Mi sta piacendo il modo in cui lo faccio? Lo facevo così anche prima?"
5) Poi c'è il respiro e c'è il sangue: nelle dita e nella testa. Scorrono, dalla testa alle dita, il sangue e, con lui, l'ossigeno. Ti chiedi se è come te lo ricordavi tu... Se è meglio. Se è peggio.
6) Quando tutto prende forma, ci sono quei primi momenti di fastidio: le sensazioni sembrano nuove, sembrano sconosciute. Ogni tanto sembrano persino spiacevoli perché sei arruginita.
7) Le parole e la voce ti si bloccano in gola: i suoni e i pensieri che prima parevano coerenti, improvvisamente non riescono più a prendere forma. Eppure una volta scrivevi senza pensarci. Eppure una volta ti ricordavi che, durante il sesso, eri ancora in grado di pensare e di usare le corde vocali.
8) L'indecisione: tra quanto? Cosa va fatto prima? Cosa viene dopo? Il tempo è giusto?
9) La pelle: la pelle e i nervi prudono e tremano. Ci sono così tante cose vuoi fare e le vorresti subito, per non perdere tempo. Pazientare, quando si ricomincia, sembra impossibile.
10) Lì arrivano i "non": non così. Non lì. Non quella cosa. Non sono più capace.
11) Il calore: ah, il calore è quello che cambia tutto. Lo senti quando scrivi senza riuscire a fermarti, senza sapere cosa volevi scrivere e dove ti sta portando. Lo avverti quando smetti di pensare ai "non" e ascolti le TUE esigenze, quando fai sesso.

Ma c'è una cosa che, credo e spero, vale per tanto per il sesso, quanto per la scrittura. Non ci sono le istruzioni da seguire: si segue se stessi. Si segue solo quello che sai di te... Parli per te. Scrivi ciò che vorresti leggere tu. Fai l'amore con te e per te.

E allora, quando si torna a scrivere e a fare l'amore, si accetta di essere impacciati e arruginiti... Magari non tornerai a scrivere e a fare l'amore come prima, è vero, ma - forse - imparerai a farlo in modo diverso. Per te più bello. Oppure scoprirari che non lo vuoi più fare (scrivere... fare l'amore, non credo), e andrà bene lo stesso.

Le dita vorranno fare altro, magari. Ma se riesci a tornare a "fare" e riscopri il piacere che provavi a farlo, forse avrai persino l'impressione di essere brava. Che poi è quello è l'unica cosa che conta: che ti sia divertita e che sia soddisfatta.

In fondo, anche la scrittura, come il sesso, non deve per forza essere condivisa con altri. Anche la scrittura, come il sesso, può essere fatta solo con sé e per sé! TIÈ!

Direi che il mio ritorno al blog è all'altezza dei demenziali standard passati: ma poco conta. Mi sono divertita e ho scoperto che, sì, per me scrivere è come fare l'amore.