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martedì 14 marzo 2017

Nuova zuppa internautica: To Tinder or not To Tinder?

Ieri avevo nel cuore gli ingredienti che rendono buona un'amicizia... O, almeno, quelli che negli anni hanno reso migliori le mie, nonostante le liti. Oggi, però, mangiamo un piatto diverso: decisamente meno dolce, più moderno. Un argomento magari più sapido. 

Tinder. La frontiera dell'accoppiamento.
Tinder. Il "bar" virtuale.
Tinder. La vetrina del sesso.

Cos'è 'sto benedetto Tinder? Se ne sente parlare da tempo ormai e, da single, almeno una volta al mese mi è stato nominato, nel bene e nel male. Già, perché Tinder non è per tutti la stessa cosa... La sua funzione cambia persino in base allo Stato: in Italia, alcuni mi dicono, è un mezzo per fare sesso. "Se sei su Tinder vuol dire che la vuoi dare."
"Su Tinder trovi la scopata e via."
E la mia preferita: "Le porcone stanno su Tinder."
Commenteremo poi queste profonde parole.

Partiamo dall'origine di Tinder: questa bella app è la cugina etero di quell'applicazione in auge da tempo nel mondo omosessuale, Grindr.
Mi sono fatta raccontare la storia da una coppia gay che si è conosciuta proprio via Grindr. Mi spiegano che il cotreggiamento è molto più diretto e meno complesso: le carte le metti in tavola subito, così da stabilire se si è in sintonia. Mi raccontano anche che sin dalle prime domande si cerca di capire se c'è compatibilità (sul piano sessuale, con domande dirette, mi dicono). Da come parlano capisco che, effettivamente, la loro comunicazione è più efficace di quella che conosco io. Eppure, mi dico, se questa comunicazione un maschio eterosessuale la prova con una ragazza eterosessuale, è probabile che si becchi del porco in un millisecondo.

Continuo a farmi illuminare dai due ragazzi su come funziona l'incontro by applicazione e su quanto diversa dalla "norma" (benché la norma non esista) sia stata la loro esperienza. Di solito, fatte le domande di rito sulle aspettative e le prefernze sessuali, mi dicono, si passa all'invio delle fotografie: se ci si piace, si passa all'incontro in carne ed ossa. Non necessariamente nel giro di poche ore, ma non è improbabile. La coppia con cui parlo, però, non si è incontrata subito e, dal principio, ha messo il veto sul sesso subito: volevano compagnia e non solo sesso. Tutti e due d'accordo; passa un po' di tempo e l'amore diventa concreto. Ora stanno insieme da anni e convivono. Mi dicono di essere una rarità, ma sono così in sintonia che gli dico esplicitamente che li invidio in modo patetico e che gli sarei grata se mi presentassero qualcuno.

"Abbiamo solo amici gay."
"Quindi, che faccio? Mi iscrivo anche io a Tinder?"
"NO! Su Tinder ci vai se vuoi scopare e basta."
"Ma magari con gli etero è diverso."
"No, tesoro, con gli etero è peggio. Perché gli etero se ti vedono su Tinder pensano che tu sia una mignotta. Ti giudicano."
"E gli omosessuali non ti giudicano?"
"Non come fanno gli etero."

Questa cosa avrei dovuto approfondirla, ma la conversazione si è estesa e sono arrivati altri pareri. La differenza principale che ho notato è stata che l'etero che si è intromesso mi parlava di Tinder elevando la sua posizione di conquistatore selettivo. Un giudicone che, mentre fa scorrere le foto delle ragazze per mettere "mi piace" o "non mi piace", commenta con "sei un cesso. Tu sei un troione. Questa è figa. Questa è vecchia..." e via dicendo.
La cosa mi basisce lievemente, soprattutto perché l'uomo in questione ha cercato di mostrarmi un'immagine di sé molto diversa dal patetico morto di patata con lo spessore della carta forno. Probabimente le due immagini (l'uomo interessante, appassionato di musica e con sinapsi attive e quella dell'amatore distaccato con gusti raffinati e esteta di livello sopraffino) non coincidono e, nel tentivo di raccontarci quanto rifugga le relazioni e quante belle pulzelle abbia selezionato da Tinder, gli è sfuggito il controllo delle cose.

Dopo aver sentito i peggio commenti sulle povere donne presenti su Tinder, tornando a casa rifletto sulla questione: fermo restando che nel sesso senza impegni non ci vedo nulla di problematico, al momento non sono molto interessata. Se mi iscrivessi a Tinder lo farei perché gradirei incontrare gente nuova e ultimamente la cosa si sta rivelando difficile. Ma, da quello che ho capito, su Tinder non funziona così: se il mi piace arriva, significa che il primo passo verso l'accoppiamento è stato fatto. Dopo di che, ognuno per i fatti suoi. Ripeto, niente di male: ma quel tipo di interazione la posso ottenere anche comprandomi un vibratore e, per ora, ho più voglia di conoscere qualcuno che parlare con un pene. Per di più, su Tinder ci si seleziona per foto: questo vuol dire che gli iscritti possono vedere la tua foto. Ora, per associazione, se il pensiero comune è che chi si iscrive a Tinder è lì per accoppiarsi e lo annuncia pubblicamente, non è il caso che io comunichi un messaggio del genere. Per di più sarebbe una balla.

Tinder non fa per me.

La cosa mi viene confermata da un mio carissimo amico e dal suo fidanzato dieci giorni dopo, i quali validano la descrizione che mi è stata precedentemente datta dell'applicazione. Tinder è per il sesso e basta. Okay, per ora depenno Tinder.

Poi accade l'imprevisto: ad un matrimonio salta fuori l'argomento Tinder e io mi sento ferratissima. Dopo la mia indagine è chiaro che in Italia l'immagine dell'applicazione è quella di un marciapiede virtuale su cui ci si incontra e ci si sceglie per fare sesso. E INVECE NO!

La confusione mi viene creata quando i presenti demoliscono ogni mia certezza, invitandomi ad iscrivermi e raccontandomi che diversi loro amici hanno trovato lì i loro attuali compagni.

"X ha conosciuto Y su Tinder. Non è vero che se sei lì è solo per scopare..."
"Z e W si sposano... E si sono incontrati su Tinder."
"Sono, però, l'eccezione. A me hanno detto un po' tutti che se sei su Tinder l'idea che passa è che cerchi solo sesso."
"A me non risulta."

Stesso messaggio mi viene comunicato da una delle mie più care amiche che attualmente risiede a New York: nell sua crociata verso la mia felicità e nello spingermi a combattere le mie paure e cambiare in meglio la mia vita, mesi fa mi aveva ordinato di iscrivermi a Tinder. Per fortuna o per sfortuna non l'ho fatto.

Ma siamo al punto di partenza. Tinder o non tinder? L'idea cambia da provincia a provincia? Da Stato a Stato? È una visione comune e univoca o la funzione è nella mente di chi la vede così? Se ti iscrivi a Tinder per trovare solo sesso, penserai che anche gli altri si sono iscritti per quella ragione? E dal punto di vista professionale, quanto è compromettente? L'amore si trova solo con le vecchie vie? O Tinder era una buona idea che è stata deformata da chi ha deciso che serviva solo per trovare patata?

In genere si dice che la verità stia nel mezzo; forse è così, forse no. Forse ogni volta che sarò a cena con gente che non conosco tirerò fuori l'argomento per allargare la mia indagine.

Una cosa, però, l'ho capita: quando la coppia gay mi ha detto che per loro era più facile, aveva ragione. La funzione per loro era chiara e univoca per tutti. Tutti sapevano perché esisteva l'app e come comunicare. Su Tinder no... Su Tinder c'è il perenne scontro tra chi non vuole nulla e chi vuole tutto e, su Tinder, c'è la presunzione di credere che la propria visione sia quella da applicare a tutti gli altri.
Alla fine a me Tinder sembra solo una trasposizione virtuale dell'incontro reale: un posto in più per conoscersi o per trovare preconcetti e per sentirsi dare della "facile". Se hai il seno grande e un abito scollato, chi ti vede per strada decide che sei una porcella. Se sei su Tinder, idem.
Se usato bene, può essere, invece, un posto in cui entrare in contatto con persone in più... L'occasione fa l'uomo ladro: Tinder portrebbe fare l'uomo o la donna fortunato. Dipendentemente dall'aspettativa e dal modus pensandi con cui lo si approccia.

Mentre scrivevo questo post, ho fatto qualche ricerca e da una divertente e simpatica indagine di Oltreuomo (qui), sembra che a) Grindr e i gay si capisco meglio b) Tinder ha preso la via della vetrina del sesso, spesso a pagamento. E in Tinder, o tutto o niente: o te la darò, in alcune province non gratis, subito... oppure smamma.

In tutta la mia riflessione, però, c'è un enorme e imperdonabile bias: ho avuto solo pareri maschili. La mia amica di NY è sposata e non è iscritta Tinder. Mi è stato offerto lo sguardo maschile su questo mondo virtuale, poi ho avuto la prospettiva gay, ma mi manca di parlare con quelle ragazze che su Tinder si sono iscritte. Se vi capita sfortunatamente di leggere questo post, scrivetemi e raccontatemi il vostro perché, le vostre aspettative e le vostre esperienze!

Il pensiero degli incontri online è quello che frullava nella mia testa quando ho deciso di scrivere un oneshot intitolata "That's a match!": ha richiesto che indagassi un po' sulle modalità di incontro online prima di trovare il sito che trovavo più simpatico.
Nel mio immaginario, per quanto ormai sia parte dell'universo delle relazioni umane, la relazione che nasce online è penalizzata dalla mancanza di diversi canali essenziali nella comunicazione (sarà colpa della mia formazione professionale attuale) e quindi porta a facili distorsioni del messaggio o a un'interazione che rischia di frammentarsi, in cui si perde un pezzo dell'intenzione, che rischia di diventare a volte poco autentica: penso che ci si possa innamorare online? Non lo so, forse: a me non è mai capitato, ma a molti sì e, soprattutto, ho avuto modo di conoscere diverse amiche in questa modalità. Ma di una cosa sono convinta: il virtuale non basta, mai. Non basta come surrogato sociale e non basta nell'incontro d'amore: se c'è una cosa che ho imparato a Gennaio durante un faticosissimo (e emotivamente intensissimo) corso, è che il non verbale arriva alla pancia e al petto con una schiettezza 2000 volte superiore. Conoscersi online può essere bellissimo, ma serve quel piano "animale" da cui non ci possiamo sottrarre per vivere un'esperienza autentica. La forma scritta è splendida, è potente, ma è anche scevra da ogni altro piano comunicativo e è ancora più facile perdere la sfumatura di un messaggio quando espresso solo a lettere: forse, Tinder, in quello si semplifica la vita... Ma non sono proprio sicura che sia in meglio. Ma, non avendone fatto esperienza in prima persona, non posso esprimermi in modo definitivo a riguardo.

Questo post era stato abbozzato e scritto mooooolto tempo fa e non so bene perché poi sia rimasto nelle bozze... Ma era lì, l'ho trovato, l'ho riletto e ho pensato che, per una volta, potevo parlare di qualcosa che non fossero sbrodolate emotive sulla storia, sulle difficoltà e sui ricongiungimenti tra me e i miei migliori amici. E, visto che ieri a quei tre e al nostro superamento del passato ho dedicato un post lungo un km (qualche sviolinata sul sostegno e le risate di oggi era anche per alcuni entrati nella mia vita negli ultimi anni, è vero, ma il grosso della stucchevolezza era per i miei vecchioni), ho pensato che fosse il caso di variare la minesta. Anche perché questo blog conta probabilmente più post zuppi di mie zuccherose riflessioni sui rapporti che di altro... e è il caso di variare topic ogni tanto. E di Tinder, benché passino i mesi, continuo a sentire parlare e emergono ogni volta strati più curiosi...

lunedì 13 marzo 2017

La solita minestra: amicizia in brodo.

Ai miei pochi ma buonissimi ingredienti... vecchi e nuovi.

Le relazioni posso essere un (triste) brodo di dado o delle deliziose zuppe. Non ci sono ricettacoli segreti: è il procedimento, la bontà degli ingrdienti e la cottura che ne determina il sapore. Se io ci metto 6 ortaggi bio a chilometro zero e tu ci metti il dado e basta... beh, si sentirà. Se tu stai lì a fare la pasta fatta in casa, la tiri, fai i mini spaghettini e lavi e tagli le verdure e io ci metto solo l'acqua, perché mi aspetto che tu per me faccia tutto il resto... beh, probabilmente sarà buona comunque, ma per te avrà un sapore amaro in ogni caso. E se la facciamo e c'è troppo sale perché l'abbiamo messo entrambi, ma uno dei due dice che è salata solo per colpa dell'altro... eh, lì farà schifo tutto, non solo la minestra.

Ci sono rapporti su cui non vale la pena di investire, ma quando lo capisci, hai già sprecato fin troppe energie. 

Ci sono rapporti per cui spendi tante parole, ti sforzi di formare lunghi pensieri e ragionamenti, e tutto quello che ricevi è un “Okay”, se sei fortunato.

Ci sono rapporti in cui ti apri, parli a lungo di te, di ciò che ti sta succedendo, in cui senti ascoltato, e poi capisci che hai parlato al nulla… Perché ascoltare non equivale a sentire in silenzio.
Ci sono rapporti in cui la comunicazione fallisce e le manipolazioni di fatti e parole si sprecano.
Ci sono rapporti in cui, per quanto ci provi, sbatti contro un muro. 


E poi ci sono i rapporti che ti colorano
: quelli in cui ridi anche nei giorni più pesanti.
Quei rapporti in cui parli per minuti lunghi ore delle difficoltà, delle insoddisfazioni, delle frustrazioni, della fatica… Sono quelli i rapporti che ti fanno dormire la notte: perché ti chiedono sempre come stai, come va, se hai superato l’ostacolo. E ve lo potete dire a vicenda che va tutto male o che sei proprio stanco. Lo puoi dire perché sai che ti ascoltano e, anche quando fingerai di non aver quel problema, loro se ne ricorderanno… E gioiranno quando gli dirai “forse qualcosa cambia” e ti incoraggeranno a fare, lottare, pensare che quello che stai facendo oggi è per il futuro. Ma soprattutto, saranno quei rapporti in cui tu farai lo stesso per loro: ascolterai, sosterrai, incoraggerai, ricorderai e  chiederai come va quella cosa, quella di cui non ti parlerà da qualche giorno, ma che sai li turbava. 
Sono quei rapporti per cui ti senti 3 volte al giorno in modo telegrafico (perché il tempo per lunghe pippe mentali davanti a un bicchiere di vino non c'è) per parlare sempre della stessa cosa, dello stesso dubbio, degli stessi problemi di tutti i giorni e va comunque bene: sono quelli che se non sai cosa fare, ti spronano a fare proprio la cosa che meno vorresti fare, perché è quella che fa paura e è anche la più giusta (“Portalo, ‘sto CV!”, “Parla con i superiori, è tuo diritto!”, “Provaci, al massimo va male!”).

Sono quelli che sanno che il mondo del lavoro (e non solo) richiede umiltà, ma che c’è un punto in cui tu hai bisogno di aprire la bocca e dire la tua… E sono quelli i rapporti che ti ricordano come farlo.
Sono rapporti fatti di reciprocità e cuore, in cui sai di esserti dato a chi avrà cura di te esattamente quanto tu ne avrai di loro. 

Ci sono tanti pezzi in un puzzle che forma un rapporto: sono tasselli diversi e ognuno contribuisce con pezzetti propri, unici e servono tutti per farne qualcosa. I rapporti funzionano solo quando si esce dalla propria minuscola prospettiva e si è disposti a sentire l’altro, non solo ad aspettarsi che l’altro senta e veda con noi. E se trovi quelle persone lì, quelle che sanno alzarsi dalla loro seggiolina in cui loro sono al centro e sanno sedersi in braccio a te, per vedere com’è la vista dalla tua posizione, conviene tenersele strette per la vita. Ma non solo. Serve ricordarsi che bisogna metterci lo stesso impegno che ci stanno mettendo loro; serve ricordarci che dobbiamo alzarci anche noi dalla nostra seggiola… Che dobbiamo avere cura di loro, non solo aspettarci che loro ne abbiano di noi. 

Sono quelli i rapporti che funzionano anche dopo che non ti vedi e non ti senti per due mesi, perché da adulti è impensabile trovare ogni giorno lo spazio per l’altro. Funzionano anche quando l’altro non era lì a farti da balia in un progetto o avvenimento importante, perché la vita non segue il nostro ritmo, e a volte anche l’altro ha qualcosa di importante per sé di cui occuparsi (es: qualche sciocca e patologica partita di basket, che però pare importante come la nascita di un figlio, e allora pace e bene).
Ci sono, poi, quelli per cui ti accorgi che hai sbagliato tu e, santa polenta, quello è il pezzo più importante della maturazione: perché riconoscere il proprio contributo nel fallimento di un rapporto è l’unica cosa che ci permette di aggiustarlo. Chiederci cosa possiamo fare noi, dove abbiamo sbagliato noi, senza pensare che sia sempre colpa dell’altro, senza credere che siamo sempre noi le vittime dell’ingiustizia altrui: i rapporti che durano decenni sono quelli in cui si sbaglia, si litiga, si discute, si parla e si scopre come ricominciare, insieme, partendo da ciò che NOI possiamo fare per ripartire. È l'autoanalisi e l'autocritica che salva i rapporti: ammettere che a volte la merda siamo noi e che non siamo per forza i poveri afflitti da un destino popolato solo da gente crudele. A volte gli insensibili possiamo esserlo anche noi: ma, nei rapporti che valgono, riusciamo a vederlo, a accettarlo e a superarlo insieme.

Quelli lì, quelli in cui non va sempre tutto bene, sono i rapporti migliori… quelli che sono destinati a durare per sempre. Perché cambiano, crescono, imparano qualcosa, ci insegnano qualcosa di noi.

Sono quelli in cui il tuo dolore non è meno importante o più importante di quello dell’altro, ma è un aiuto per l’altro a superare il proprio: l’ho imparato qualche mese fa da una delle mie più care amiche.



L’aneddoto: a Ottobre del 2016 la mia cagnolina di 16 anni è morta. Era qualche settimana che le cose andavano male e quando è successo per me è stato un dolore grande come ogni altro lutto: perché con lei ero cresciuta, perché era come un membro della famiglia, perché era “la mia Isotta”. Quella sera, la mia migliore amica, che mi è stata accanto ogni istante della giornata, mi ha telefonato e mi ha detto che la sua cara nonna era in ospedale. La conoscevo da 20 anni. La risposta naturale, per me, è stata mettere da parte le mie lacrime, perché non era pensabile paragonare il mio dispiacere con quello della mia amica. Me lo ricordo come se fosse ieri:
“Stefy, no. È un cane, è vero, ma non ha un valore inferiore nel cuore.”

“Ma figurati! Ci mancherebbe altro. È diverso.”

“Non lo è… non devi sentirti come se dovessi mettere da parte le tue lacrime per questo.”

Siamo state in contatto quasi tutta la notte, a parlare. La mattina successiva la mia amica mi ha chiesto di venire a casa mia per non stare sola: è arrivata, eravamo tutte e due orribili, con gli occhi gonfi e le lacrime cristallizzate negli occhi. Ci siamo abbracciate e abbiamo parlato per un’ora: quando la mia amica si sentiva meglio e era pronta ad andare, suo padre ha chiamato per dirci che la nonna se n’era andata. L’ho abbracciata per 3 minuti e quando stavo per sciogliere l’abbraccio, lei mi ha chiesto di non farlo. Poi mi ha sussurrato: “È con la Isotta. Io lo so. E questa cosa mi rasserena in un modo che non so spiegare.”

Ce le siamo immaginate per giorni, a mangiare arrosto e a farsi compagnia: era solo un cane, ma quella mia perdita ha aiutato una delle persone che amo più al mondo a soffrire meno nel suo dolore e insieme è stato più facile. 


Ogni giorno è così: sia rabbia, frustrazione, preoccupazione, alla fine riusciamo sempre a ridere e sorridere con le persone che valgono ogni sforzo. 

Ci sono rapporti e persone per cui vale la pena di piangere e arrabbiarsi: sono quelle che si impegnano quanto noi di uscire dalla propria microscopica visione di sé al centro di tutto e per cui anche noi siamo disposte a farlo. Sono quelle per cui molliamo tutto, anche il sonno, quando hanno bisogno di noi e sono quelle che farebbero lo stesso per noi.
Sono quelle con cui si trova sempre un sorriso, con cui - anche se si sbaglia - alla fine del confronto se ne esce meglio, entrambi. Con cui il senso di colpa non esiste, perché c’è la parola, c’è lo scambio. Con cui non c’è la colpevolizzazione: si sbaglia insieme, si aggiusta insieme. 


Sono quei rapporti lì che ci servono a affrontare ogni giorno, anche quando le cose che vanno bene sono molto meno di quelle che vanno male. 
Sono quelle persone a cui pensi una mattina a casa libera dal lavoro e per cui ti trovi a scrivere un post dopo secoli. 



E non è il tempo che rende quei rapporti straordinari: sono le persone, perché quello che ho detto e penso vale tanto per le persone che conosco da 30 anni quanto per alcune che sono parte di me da pochi anni. Sono quelle persone che riescono sempre a mettermi un sorriso sulle labbra… con cui mi scambio messaggi vocali mentre ceno dai miei, perché se no poi viene tardi e crolliamo come pere sul divano. Sono le personalità e gli incastri che rendono i rapporti la cosa buona anche delle giornate andate male e ci salvano da un futuro da gettare (forse).
 L'importante è ricordarsi che i rapporti belli sono quelli dove si ride insieme, anche quando l'unica cosa che vorresti fare è prendere a testare la porta (o l'altro).